Salario, Prezzo e Profitto
Karl
Marx
(versione ipertestuale a c. Pdci-Cento - cfr. tr. di Palmiro Togliatti in http://www.filosofico.net/salario.htm)
Ridotte
alla loro espressione teorica più semplice, le dimostrazioni del nostro amico
si riducono tutte a questo unico dogma: "I prezzi delle merci vengono
determinati o regolati dai salari". Potrei riferirmi a osservazioni
pratiche e invocare la testimonianza di esse contro questo errore vecchio e
ormai superato.
Vi
potrei dire che gli operai di fabbrica, i minatori, i carpentieri navali e altri
operai inglesi, il cui lavoro É relativamente ben pagato, battono tutte le
altre nazioni per il basso prezzo dei loro prodotti, mentre, per esempio,
l'operaio agricolo inglese, il cui lavoro é pagato relativamente male, é
battuto da quasi tutte le altre nazioni per l'alto prezzo dei suoi prodotti.
Confrontando un articolo con l'altro nello stesso paese, e confrontando le une
con le altre le merci di diversi Paesi, potrei mostrarvi che, a parte alcune
eccezioni più apparenti che reali, in media il lavoro pagato male produce le
merci care. Naturalmente, ciò non proverebbe che gli alti prezzi del lavoro in
un caso e il basso prezzo nell'altro caso siano la causa rispettiva di questi
effetti diametralmente opposti, ma ad ogni modo ciò prova che i prezzi delle
merci non sono determinanti dai prezzi del lavoro. Ad ogni modo, l'applicazione
di questo metodo empirico é per noi completamente superflua.
Si
potrebbe forse negare che il cittadino Weston abbia avanzato il dogma:
"I
prezzi delle merci vengono determinati o regolati dai salari". Infatti,
egli non ha mai dato questa formula. Egli dice al contrario che anche il
profitto e la rendita sono parti integranti dei prezzi delle merci, perché sui
prezzi delle merci debbono venir pagati non solo i salari, ma anche i profitti
dei capitalisti e le rendite dei proprietari fondiari. Ma come, a suo avviso,
vengono formati i prezzi? Innanzi tutto dai salari. Poi viene aggiunta ai prezzi
una determinata percentuale a favore del capitalista e un'altra a favore del
proprietario fondiario. Supponiamo che i salari degli operai impiegati nella
produzione di una merce ammontino a dieci. Se il saggio del profitto é del 100
per cento, il capitalista aggiungerebbe dieci all'importo dei salari pagati, e
se anche la rendita fosse il 100 per cento del salario, si aggiungerebbe un
altro dieci, e il prezzo complessivo della merce salirebbe quindi a trenta. Ma
una tale determinazione dei prezzi sarebbe semplicemente la loro determinazione
sulla base dei salari. Se, nel nostro caso, i salari salissero a venti, il
prezzo della merce salirebbe a sessanta, e così via. Per questo tutti i vecchi
scrittori di economia politica, i quali sostenevano come un dogma che i salari
regolano i prezzi, hanno tentato di provarlo trattando il profitto e la rendita
come semplici aumenti percentuali aggiunti ai salari. Naturalmente nessuno di
loro fu in grado di ricondurre a una legge economica qualunque i limiti di
questi aumenti percentuali. Sembrava che essi credessero, invece, che i profitti
sono determinati dalla tradizione, dall'abitudine, dalla volontà dei
capitalisti, o sulla base di qualche altro metodo arbitrario e inspiegabile.
Allorché essi sostengono che i profitti sono determinati dalla concorrenza fra
i capitalisti, con ciò non dicono niente. Questa concorrenza può certamente
rendere uguali i diversi saggi di profitto nei diversi rami dell'industria,
oppure ridurli a un livello medio, ma essa non potrà mai determinare questo
livello stesso, o il saggio generale del profitto.
Che
cosa intendiamo dire quando affermiamo che i prezzi delle merci sono determinati
dai salari? Poiché‚ i salari non sono che un termine per designare il prezzo
del lavoro, intendiamo dire con ciò che i prezzi delle merci sono determinati
dal prezzo del lavoro. Poiché prezzo é valore di scambio, - e quando dico
valore, intendo sempre valore di scambio -, e cioè valore di scambio espresso
in denaro, la cosa si riduce a dire che "il valore del lavoro é la misura
generale del valore".
Ma
allora come viene determinato a sua volta il "valore del lavoro"? Qui
arriviamo a un punto morto. A un punto morto, naturalmente, se cerchiamo di
ragionare logicamente. I sostenitori di quella dottrina non hanno però troppi
scrupoli logici. Prendete, per esempio, il nostro amico Weston.
Prima
egli ci ha detto che i salari regolano i prezzi delle merci e che perciò i
prezzi devono salire quando salgono i salari. Poi ha fatto un mezzo giro per
mostrarci che un aumento dei salari non servirebbe a niente perché i prezzi
delle merci sono saliti, e perché i salari di fatto sono misurati dai prezzi
delle merci per le quali essi vengono spesi. Incominciamo dunque con
l'affermazione che il valore del lavoro determina il valore della merce, e
terminiamo con l'affermazione che il valore della merce determina il valore del
lavoro. Ci aggiriamo dunque in un circolo vizioso e non arriviamo a nessuna
conclusione.
Insomma
é evidente che se noi facciamo del valore di una merce qualsiasi, per esempio
del lavoro, del grano, o di un'altra merce qualunque, la misura generale e il
regolatore del valore, non facciamo altro che spostare la difficoltà, perché
determiniamo un valore per mezzo di un altro valore che, a sua volta, ha bisogno
di essere determinato.
Espresso
nella sua forma più astratta, il dogma che i salari determinano i prezzi delle
merci si riduce a dire che il valore é determinato dal valore, e questa
tautologia significa, in realtà, che del valore non sappiamo niente.
Se ammettiamo questa premessa, ogni discussione sulle leggi generali dell'economia politica diventa pura chiacchiera. Il grande merito di Ricardo era perciò che egli, nella sua opera sui Principi dell'economia politica, pubblicata nel 1817, distruggeva dalle fondamenta la vecchia dottrina popolare falsa e fallita, secondo la quale i salari determinano i prezzi, dottrina falsa che Adamo Smith e i suoi predecessori francesi avevano respinto nelle parti veramente scientifiche delle loro ricerche, riproducendola però nei loro capitoli più superficiali e di volgarizzazione.
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