Salario, Prezzo e Profitto
Karl Marx
(versione ipertestuale a c. Pdci-Cento - cfr. tr. di Palmiro Togliatti in http://www.filosofico.net/salario.htm)
Dobbiamo
ora ritornare alla espressione "valore o prezzo del lavoro".
Abbiamo
visto che questo valore non É di fatto che il valore della forza-lavoro,
misurato sulla base dei valori delle merci necessarie alla sua conservazione.
Poiché
però il lavoratore riceve il salario soltanto dopo aver finito il suo lavoro, e
poiché egli sa che ciò ch'egli dà realmente
al capitalista É il suo lavoro, perciò il valore o prezzo della sua
forza-lavoro gli appare necessariamente come il prezzo o valore del suo lavoro
stesso. Se il prezzo della sua forza-lavoro É di tre scellini, nei quali sono
incorporate sei ore di lavoro, e se egli lavora dodici ore, egli considera
necessariamente questi tre scellini come il valore o il prezzo di dodici ore di
lavoro, quantunque queste dodici ore di lavoro rappresentino un valore di sei
scellini.
Di
qui una duplice conseguenza.
Primo:
il valore o prezzo della forza lavoro prende l'apparenza esteriore del prezzo o
valore del lavoro stesso, quantunque, parlando rigorosamente, valore e prezzo
del lavoro siano espressioni prive di significato.
Secondo:
benché solo una parte del lavoro giornaliero dell'operaio sia pagata, mentre
l'altra parte rimane non pagata, benché proprio questa parte non pagata, o
pluslavoro, rappresenti il fondo dal quale sorge il plusvalore o il profitto, ciò
nonostante sembra che tutto il lavoro sia lavoro pagato.
Questa
falsa apparenza distingue il lavoro salariato dalle altre forme storiche del
lavoro. Sulla base del sistema del salario anche il lavoro non pagato sembra
essere lavoro pagato. Con lo schiavo, al contrario, anche quella parte di lavoro
che É pagata appare come lavoro non pagato.
Naturalmente
lo schiavo per poter lavorare deve vivere, e una parte della sua giornata di
lavoro serve a compensare il valore del suo proprio sostentamento. Ma poiché
fra lui e il suo padrone non viene concluso nessun patto e fra le due parti non
ha luogo nessuna compravendita, tutto il suo lavoro sembra lavoro dato per
niente.
Prendiamo,
d'altra parte, il contadino servo della gleba quale esisteva, potremmo dire,
ancora fino a ieri in tutta l'Europa orientale. Questo contadino lavorava, per
esempio, tre giorni per s‚ nel campo suo proprio o attribuito a lui, e i tre
giorni seguenti eseguiva il lavoro forzato e gratuito nel podere del suo
signore. In questo caso il lavoro pagato e quello non pagato erano visibilmente
separati, separati nel tempo e nello spazio, e i nostri liberali si sdegnavano,
scandalizzati dall'idea assurda di far lavorare un uomo per niente!
In
realtà però la cosa non cambia, se uno
lavora tre giorni della settimana per s‚ nel proprio campo e tre giorni senza
essere pagato nel podere del suo signore, oppure se lavora, nella fabbrica o
nell'officina, sei ore al giorno per s‚ e altre sei per il suo imprenditore,
anche se, in quest'ultimo caso, la parte pagata e la parte non pagata del lavoro
sono confuse in modo inscindibile, e la natura di tutto questo procedimento É
completamente mascherata dall'intervento di un contratto e dalla paga che ha
luogo alla fine della settimana. Il lavoro non pagato, in un caso sembra dato
volontariamente, nell'altro caso sembra preso per forza. La differenza É tutta
qui. Se in seguito userò le parole "valore del lavoro", non si
tratterà che di una espressione popolare
per "valore della forza-lavoro".
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