Salario, Prezzo e Profitto
Karl Marx
(versione ipertestuale a c. Pdci-Cento - cfr. tr. di Palmiro Togliatti in http://www.filosofico.net/salario.htm)
Il
plusvalore, cioè quella parte del valore complessivo della merce in cui É
incorporato il pluslavoro o lavoro non pagato dell'operaio, io lo chiamo
profitto. Questo profitto non viene intascato tutto dall'imprenditore
capitalista. Il monopolio del suolo pone il proprietario fondiario nella
condizione di appropriarsi una parte di questo plusvalore, sotto il nome di
rendita fondiaria, indipendentemente dal fatto che questo suolo sia usato per
l'agricoltura, per edifici, per ferrovie, o per qualsiasi altro scopo
produttivo. D'altra parte, il fatto stesso che il possesso degli strumenti di
lavoro dà la possibilità
agli imprenditori capitalisti di produrre un plusvalore, o, il che É poi
la stessa cosa, di appropriarsi una certa quantità
di lavoro non pagato, questo fatto consente al proprietario dei mezzi di
lavoro, che egli presta in tutto o in parte all'imprenditore capitalista, cioè,
in una parola, consente al capitalista che presta il denaro di reclamare per
s‚ un'altra parte di questo plusvalore, sotto il nome di interesse, cosicché
all'imprenditore capitalista come tale non resta che il cosiddetto profitto
industriale o commerciale.
La
questione di conoscere secondo quali leggi É regolamentata questa ripartizione
dell'importo globale del plusvalore fra le tre categorie citate, É del tutto
estranea al nostro argomento. Ad ogni modo, da quanto abbiamo esposto risulta
quanto segue.
Rendita
fondiaria, interesse e profitto industriale sono soltanto nomi diversi per
diverse parti del plusvalore della merce, o del lavoro non pagato in essa
contenuto, e scaturiscono in ugual modo da questa fonte, e unicamente da questa
fonte. Essi non derivano dal suolo come tale o dal capitale come tale; ma suolo
e capitale danno la possibilità ai loro
proprietari di ricevere la loro parte rispettiva del plusvalore che
l'imprenditore capitalista spreme dall'operaio. Per l'operaio É d'importanza
secondaria il fatto che questo plusvalore, risultato del suo pluslavoro o di
lavoro non pagato, venga esclusivamente intascato dall'imprenditore capitalista,
oppure che quest'ultimo sia costretto a cederne delle parti a terze persone,
sotto il nome di rendita fondiaria e di interesse. Supponiamo che l'imprenditore
capitalista impieghi capitale proprio e sia proprietario del suolo: tutto il
plusvalore si riversa allora nelle sue tasche.
L'imprenditore
capitalista è colui che spreme direttamente dall'operaio questo plusvalore,
indipendentemente dalla parte che alla fine egli potrà trattenere per s‚.
Questo rapporto fra l'imprenditore capitalista e l'operaio salariato É dunque
il perno di tutto il sistema del salario e di tutto l'attuale sistema di
produzione. Quando alcuni dei cittadini che prendevano parte alla nostra
discussione tentavano di rimpicciolire la questione e di considerare questo
rapporto fondamentale tra l'imprenditore capitalista e l'operaio come questione
subordinata, essi avevano torto, quantunque, d'altra parte, essi avessero
ragione di affermare che, in date circostanze, un rialzo dei prezzi può
interessare in modo molto diverso l'imprenditore capitalista, il proprietario
fondiario, il capitalista finanziario, e, se volete, l'agente delle imposte.
Da
quanto abbiamo detto possiamo trarre ancora una conclusione.
Quella
parte del valore della merce che rappresenta soltanto il valore delle materie
prime, delle macchine, in breve, il valore dei mezzi di produzione impiegati,
non dà nessun reddito, ma ricostituisce
soltanto il capitale.
Ma
a prescindere da ciò è falso ritenere che l'altra parte del valore della
merce, quella che dà un reddito, o che
può essere distribuita sotto forma di salario, profitto, rendita fondiaria,
interessi, sia costituita dal valore dei salari, dal valore della rendita
fondiaria, dal valore del profitto, e così via.
Lasciamo ora da parte i salari e consideriamo solo i profitti industriali,
l'interesse e la rendita fondiaria. Abbiamo appunto visto poco fa che il
plusvalore contenuto nella merce, o quella parte del suo valore nella quale É
incorporato lavoro non pagato, si scompone in diverse parti, che portano tre
nomi diversi. Ma sarebbe contro la verità affermare
che il suo valore risulti o sia formato dalla addizione dei valori indipendenti
di queste tre parti costitutive.
Se
un'ora di lavoro si incorpora in un valore di sei denari, se la giornata di
lavoro dell'operaio comprende dodici ore, se la metà
di questo tempo É lavoro non pagato, questo pluslavoro aggiunge alla
merce un plusvalore di tre scellini, cioè un valore per il quale non É stato
pagato nessun equivalente. Questo plusvalore di tre scellini rappresenta il
fondo intero che l'imprenditore capitalista può dividere, in una proporzione
qualsiasi, col proprietario fondiario e con colui che gli ha prestato denaro. Il
valore di questi tre scellini costituisce il limite del valore che essi hanno da
ripartire fra loro. Ma non É l'imprenditore capitalista che aggiunge al valore
della merce un valore arbitrario come suo profitto, a cui poi viene aggiunto un
altro valore, ecc., in modo che la somma di questi valori fissati
arbitrariamente costituisca il valore globale. Voi vedete dunque quanto sia
errata l'opinione popolare, che confonde la scomposizione di un dato valore in
tre parti, con la formazione di quel valore per mezzo della addizione di tre
valori indipendenti, e in questo modo trasforma il valore globale, dal quale
scaturiscono la rendita, il profitto e l'interesse, in una grandezza arbitraria.
Se il profitto totale realizzato dal capitalista É uguale a cento sterline, noi
chiamiamo questa somma, considerata come grandezza assoluta, l'ammontare del
profitto. Se consideriamo invece il rapporto tra queste cento sterline e il
capitale sborsato, questa grandezza relativa la chiamiamo saggio del profitto.
evidente che questo saggio del profitto può essere espresso in due modi.
Supponiamo
che cento sterline siano il capitale anticipato come salari.
Se
il plusvalore ottenuto É pure uguale a cento sterline - e questo ci
indicherebbe che la metà della giornata
di lavoro dell'operaio consiste di lavoro non pagato - e se misuriamo questo
profitto secondo il valore del capitale anticipato come salari, diremo che il
saggio del profitto É del 100 per cento, poiché il valore anticipato É cento
e il valore ottenuto É duecento.
Se,
d'altra parte, non consideriamo soltanto il capitale anticipato come salari, ma
consideriamo tutto il capitale anticipato, per esempio cinquecento sterline,
delle quali quattrocento rappresentano il valore delle materie prime, delle
macchine, ecc., allora diremo che il saggio del profitto È soltanto del 20 per
cento, perché il profitto di cento É soltanto la quinta parte di tutto il
capitale sborsato.
La
prima maniera di esprimere il saggio del profitto É l'unica che vi indica il
vero rapporto fra lavoro pagato e lavoro non pagato, il vero grado dello
sfruttamento del lavoro. L'altra maniera di esprimersi É quella abituale, e
infatti adatta a certi scopi. In ogni caso, essa É molto utile per nascondere
il grado in cui il capitalista spreme dall'operaio lavoro non pagato.
Nelle
osservazioni che ancora ho da fare userò la parola profitto per indicare
l'ammontare totale del plusvalore che il capitalista spreme, senza occuparmi
della ripartizione di questo plusvalore fra le diverse parti, e quando impiegherò
l'espressione saggio del profitto, lo farò sempre per misurare il profitto
secondo il suo rapporto col valore del capitale anticipato sotto forma di salari.