Salario, Prezzo e Profitto
Karl Marx
(versione ipertestuale a c. Pdci-Cento - cfr. tr. di Palmiro Togliatti in http://www.filosofico.net/salario.htm)
Primo.
Dopo aver dimostrato che la resistenza periodica opposta dagli operai contro la
diminuzione dei salari e gli sforzi che essi fanno di tempo in tempo per avere
degli aumenti di salario sono inseparabili dal sistema del salario e dettati dal
fatto stesso che il lavoro É parificato alle merci, e che perciò É soggetto
alle leggi che regolano il movimento generale dei prezzi; dopo aver mostrato, in
seguito, che un rialzo generale dei salari provocherebbe una caduta del saggio
generale del profitto, senza esercitare alcuna influenza sui prezzi medi delle
merci o sui loro valori, sorge ora infine la questione di sapere fino a qual
punto, in questa lotta incessante tra capitale e lavoro, quest'ultimo ha delle
prospettive di successo.
Potrei
rispondere con una generalizzazione, e dire che il prezzo di mercato del lavoro,
come quello di tutte le altre merci, si adatterà
a lungo andare al suo valore; che perciò, malgrado tutti gli alti e
bassi, e malgrado tutto ciò che l'operaio possa fare, in ultima analisi egli
non riceverà in media che il valore del
suo lavoro, il quale si risolve nel valore della sua forza-lavoro, determinato a
sua volta dal valore degli oggetti d'uso necessari per la sua conservazione e la
sua riproduzione, valore che, infine, É regolato dalla quantità
di lavoro necessaria per la loro produzione.
Ma
vi sono alcune circostanze particolari, che differenziano il valore della
forza-lavoro o il valore del lavoro dai valori di tutte le altre merci. Il
valore della forza-lavoro É costituito da due elementi, di cui l'uno É
unicamente fisico, l'altro storico o sociale. Il suo limite minimo É
determinato dall'elemento fisico, il che vuol dire che la classe operaia, per
conservarsi e per rinnovarsi, per perpetuare la propria esistenza fisica, deve
ricevere gli oggetti d'uso assolutamente necessari per la sua vita e per la sua
riproduzione. Il valore di questi oggetti d'uso assolutamente necessari
costituisce quindi il limite minimo del valore del lavoro. D'altra parte anche
la durata della giornata di lavoro ha il suo limite estremo, quantunque assai
elastico. Questo limite estremo É dato dalla forza fisica dell'operaio. Se
l'esaurimento giornaliero della sua forza vitale supera un certo limite, questa
non può rimettersi ogni giorno in attività . Però, come abbiamo detto, questo
limite É molto elastico. Una successione rapida di generazioni deboli e di
breve esistenza può servire il mercato del lavoro così
bene come una serie di generazioni robuste e di lunga esistenza.
Oltre
che da questo elemento puramente fisico, il valore del lavoro È determinato dal
tenore di vita tradizionale in ogni paese. Esso non consiste soltanto nella vita
fisica, ma nel soddisfacimento di determinati bisogni, che nascono dalle
condizioni sociali in cui gli uomini vivono e sono stati educati.
Il
tenore di vita inglese potrebbe essere abbassato a quello degli irlandesi, il
tenore di vita di un contadino tedesco a quello di un contadino della Livonia.
L'importanza della parte che assumono, a questo riguardo, la tradizione storica
e le abitudini sociali, potete rilevarla dal libro del signor Thornton sulla
sovrappopolazione, nel quale egli mostra che i salari medi nelle diverse regioni
agrarie dell'Inghilterra sono ancora oggi differenti, a seconda delle
circostanze più o meno favorevoli nelle quali queste regioni hanno scosso il
giogo del servaggio.
Questo
elemento storico o sociale, che entra nel valore del lavoro, può aumentare o
diminuire, e anche annullarsi, in modo che non rimanga che il limite fisico. Al
tempo della guerra antigiacobina, la quale, come usava dire l'incorreggibile
divoratore di imposte e di sinecure, il vecchio Gorge Rose, fu fatta per salvare
i comodi della nostra santissima religione dagli assalti dei francesi
miscredenti, gli onesti agrari inglesi - che in una precedente nostra seduta
abbiamo trattato con tanto riguardo -, ridussero i salari dei lavoratori
agricoli persino al di sotto di questo minimo puramente
fisico,
e fecero aggiungere, mediante le tasse in favore dei poveri, il rimanente
necessario per la conservazione fisica della razza. Fu questo un modo brillante
per trasformare l'operaio salariato in uno schiavo, e il fiero libero contadino
di Shakespeare in un povero.
Se
confrontate tra loro i salari normali o i valori del lavoro in diversi Paesi e
in diverse epoche storiche dello stesso Paese, troverete che il valore del
lavoro non É una grandezza fissa, ma una grandezza variabile, anche se si
suppone che i valori di tutte le altre merci rimangano costanti.
Lo
stesso confronto per quanto riguarda i saggi del profitto del mercato,
dimostrerebbe che non solo essi cambiano, ma che cambiano anche i loro saggi
medi.In quanto ai profitti, non esiste nessuna legge che ne determini il minimo.
Non
possiamo dire qual É il limite ultimo al quale essi possono cadere. E perché
non possiamo stabilire questo limite? Perché siamo in condizioni di stabilire i
salari minimi, ma non quelli massimi. Possiamo soltanto dire che dati i limiti
della giornata di lavoro, il massimo del profitto corrisponde al limite fisico
minimo dei salari, e che, dati i salari, il massimo del profitto corrisponde a
quella estensione della giornata di lavoro che É ancora compatibile con le
forze fisiche dell'operaio. Il massimo del profitto É dunque limitato solamente
dal minimo fisico dei salari e dal massimo fisico della giornata di lavoro.
chiaro che fra questi due limiti del saggio massimo del profitto É
possibile una serie immensa di variazioni. La determinazione del suo livello
reale viene decisa soltanto dalla lotta incessante tra capitale e lavoro; il
capitalista cerca costantemente di ridurre i salari al loro limite fisico minimo
e di estendere la giornata di lavoro al suo limite fisico massimo, mentre
l'operaio esercita costantemente una pressione in senso opposto.
La
cosa si riduce alla questione dei rapporti di forza delle parti in lotta.
Secondo.
Per quanto riguarda la limitazione della giornata di lavoro in Inghilterra e in
tutti gli altri paesi, essa non É mai stata regolata altrimenti che per
intervento legislativo. Senza la pressione costante degli operai dall'esterno,
questo intervento non si sarebbe mai verificato. Ad ogni modo, il risultato non
avrebbe potuto essere raggiunto per via di accordi privati fra gli operai e i
capitalisti. proprio questa necessità
di una azione politica generale che ci fornisce la prova che nella lotta
puramente economica il capitale É il più forte.
In
quanto al limite del valore del lavoro, la sua determinazione reale dipende
sempre dalla domanda e dall'offerta, intendo dire dalla domanda di lavoro da
parte del capitale, e dall'offerta di lavoro da parte degli operai. Nei paesi
coloniali la legge della domanda e dell'offerta É favorevole all'operaio. Ciò
spiega il livello relativamente alto dei salari negli Stati Uniti d'America. In
questo paese il capitale può tentare tutto quello che vuole; esso non può
impedire che il mercato del lavoro si svuoti
Continuamente
in seguito alla trasformazione continua degli operai salariati in contadini
indipendenti, che provvedono a s‚ stessi. La condizione di operaio salariato
É per una parte molto grande degli americani soltanto uno stadio transitorio,
che essi sicuramente abbandonano dopo un tempo più o meno breve. Per far fronte
a questo stato di cose che esiste nelle colonie, il paterno governo britannico
ha fatto propria durante un certo periodo di tempo la cosiddetta teoria moderna
della colonizzazione, che consiste nell'innalzare artificialmente il prezzo
delle terre nelle colonie, per impedire in tal modo la trasformazione troppo
rapida dell'operaio salariato in un contadino indipendente.
Passiamo
ora ai paesi di vecchia civiltà , nei quali il capitale domina interamente il
processo della produzione. Prendiamo, per esempio, l'aumento dei salari degli
operai agricoli in Inghilterra dal 1849 al 1859. Quale ne fu la conseguenza? I
coltivatori non poterono, come avrebbe consigliato loro il nostro amico Weston,
aumentare il valore del grano, e nemmeno i suoi prezzi di mercato. Al contrario,
dovettero accomodarsi alla loro caduta.
Ma
durante questi undici anni essi introdussero ogni sorta di macchine e nuovi
metodi scientifici, trasformarono una parte del terreno arato in pascolo,
aumentarono le dimensioni delle aziende agricole e perciò il volume della
produzione, e con questi e altri mezzi avendo ridotto la domanda di lavoro
accrescendone la forza produttiva, fecero sì che
la popolazione lavoratrice delle campagne diventò di nuovo relativamente
sovrabbondante.
E'
questo il metodo generale secondo il quale, nei Paesi vecchi, dove il suolo É
occupato, si compiono più o meno rapidamente le reazioni del capitale agli
aumenti di salario. Ricardo ha giustamente osservato che la macchina si trova in
continua concorrenza col lavoro e spesso può essere introdotta solo quando il
prezzo del lavoro ha raggiunto una certa altezza; ma l'adozione
della
macchina non É che uno dei molti metodi per aumentare la forza produttiva del
lavoro. Lo stesso processo che rende relativamente superfluo il lavoro abituale
semplifica, d'altra parte, il lavoro qualificato e perciò lo svaluta.
La
stessa legge si fa valere anche in un'altra forma. Con lo sviluppo delle forze
produttive del lavoro, l'accumulazione di capitale É molto accelerata, anche se
il livello dei salari sia relativamente alto. Si potrebbe dunque concludere -
come ha ritenuto A. Smith, ai tempi del quale l'industria moderna si trovava
ancora ai suoi albori - che questa accumulazione accelerata di capitale deve far
traboccare la bilancia a favore dell'operaio, in quanto crea una domanda
crescente del suo lavoro. Per questa stessa ragione molti scrittori
contemporanei si sono meravigliati che, sebbene il capitale inglese sia
aumentato in questi ultimi venti anni molto più rapidamente della popolazione
inglese, i salari non siano più aumentati. Ma parallelamente all'accumulazione
progressiva del capitale ha luogo una modificazione crescente nella composizione
del capitale. Quella parte del capitale che É formata da capitale fisso,
macchine, materie prime, mezzi di produzione d'ogni genere, aumenta più
rapidamente
di quell'altra parte del capitale che viene investita in salari, cioè per
comperare lavoro. In forma più o meno precisa, questa legge È stata stabilita
da Barton, Ricardo, Sismondi, dal professor Richard Jones, del professor Ramsay,
da Cherbuliez e altri.
Se
il rapporto primitivo fra questi due elementi del capitale era uno a uno, col
progredire dell'industria esso diventa cinque a uno, ecc. Se di un capitale
globale di seicento, si investono trecento parti in strumenti di lavoro, materie
prime, e così via, e trecento in salari,
basta raddoppiare il capitale globale per creare una domanda di seicento operai
invece che di trecento. Ma se di un capitale di seicento, cinquecento parti sono
investite in macchine, materie prime, e così via
e soltanto cento in salari, questo capitale deve salire da 600 a 3.600 per
creare una domanda di seicento operai invece che di trecento. Con lo sviluppo
dell'industria la domanda di lavoro non procede dunque di pari passo con
l'accumulazione del capitale.
Essa
aumenta indubbiamente, ma in proporzione continuamente decrescente rispetto
all'aumento del capitale.
Queste
poche indicazioni basteranno per dimostrare che proprio lo sviluppo
dell'industria moderna deve far pendere la bilancia sempre più a favore del
capitalista, contro l'operaio, e che per conseguenza la tendenza generale della
produzione capitalistica non É all'aumento del livello medio dei salari, ma
alla diminuzione di esso, cioè a spingere il valore del lavoro, su per giù, al
suo limite più basso. Se tale É in questo sistema la tendenza delle cose,
significa forse ciò che la classe operaia deve rinunciare alla sua resistenza
contro gli attacchi del capitale e deve abbandonare i suoi sforzi per strappare
dalle occasioni che le si presentano tutto ciò che può servire a migliorare
temporaneamente la sua situazione? Se essa lo facesse, essa si ridurrebbe al
livello di una massa amorfa di affamati e di disperati, a cui non si potrebbe più
dare nessun aiuto. Credo di aver dimostrato che le lotte della classe operaia
per il livello dei salari sono fenomeni inseparabili da tutto il sistema del
salario, che in 99 casi su 100 i suoi sforzi per l'aumento dei salari non sono
che tentativi per mantenere integro il valore dato del lavoro, e che la necessità
di lottare con il capitalista per il prezzo del lavoro dipende dalla sua
condizione, dal fatto che essa É costretta a vendersi come merce. Se la classe
operaia cedesse per viltà nel suo
conflitto quotidiano con il capitale, si priverebbe essa stessa della capacità
di intraprendere un qualsiasi movimento più grande.
Nello
stesso tempo la classe operaia, indipendentemente dalla servitù generale che É
legata al sistema del lavoro salariato, non deve esagerare a s‚ stessa il
risultato finale di questa lotta quotidiana. Non deve dimenticare che essa lotta
contro gli effetti, ma non contro le cause di questi effetti;
che
essa può soltanto frenare il movimento discendente, ma non mutarne la
direzione; che essa applica soltanto dei palliativi, ma non cura la malattia.
Perciò essa non deve lasciarsi assorbire esclusivamente da questa inevitabile
guerriglia, che scaturisce incessantemente dagli attacchi continui del capitale
o dai mutamenti del mercato. Essa deve comprendere che il sistema attuale, con
tutte le miserie che accumula sulla classe operaia, genera nello stesso tempo le
condizioni materiali e le forme sociali necessarie per una ricostruzione
economica della società . Invece della parola d'ordine conservatrice: "Un
equo salario per un'equa giornata di lavoro", gli operai devono scrivere
sulla loro bandiera il motto rivoluzionario: "Soppressione del sistema del
lavoro salariato".
Dopo
questa lunga e, temo, affaticante esposizione, alla quale non potevo sottrarmi
senza nuocere all'argomento, concludo proponendovi l'approvazione della seguente
risoluzione:
Primo.
Un aumento generale del livello dei salari provocherebbe una caduta generale del
saggio generale del profitto, ma non toccherebbe, in linea di massima, i prezzi
delle merci.
Secondo.
La tendenza generale della produzione capitalistica non É di elevare il salario
normale medio, ma di ridurlo.
Terzo. Le Trade Unions compiono un buon lavoro come centri di resistenza contro gli attacchi del capitale; in parte si dimostrano inefficaci in seguito a un impiego irrazionale della loro forza. Esse mancano, in generale, al loro scopo, perché si limitano a una guerriglia contro gli effetti del sistema esistente, invece di tendere nello stesso tempo alla sua trasformazione e di servirsi della loro forza organizzata come di una leva per la liberazione definitiva della classe operaia, cioè per l'abolizione definitiva del sistema del lavoro salariato.
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