Manifesto del Partito Comunista
Karl Marx - Friedrich Engels
Il.
PROLETARI E COMUNISTI
(versione ipertestuale a c. PdCI-Cento, altro testo pubblicato in http://www.filosofico.net/manifesto.htm)
Prefazioni e indirizzo al lettore italiano - I. Il Manifesto del Partito Comunista - I. BORGHESI E PROLETARI - II. PROLETARI E COMUNISTI - III. LETTERATURA SOCIALISTA E COMUNISTA - IV. POSIZIONE DEI COMUNISTI NEI CONFRONTI DEI DIVERSI PARTITI DI OPPOSIZIONE
II
PROLETARI E COMUNISTI
Qual è il rapporto tra comunisti e proletari?
I comunisti non sono un partito a sé fra gli altri partiti dei lavoratori.
Essi non hanno interessi separati da quelli dell'intero proletariato.
Essi non propongono particolari princìpi su come modellare il movimento
proletario.
I comunisti si distinguono dai restanti partiti proletari solo perché, d'un
lato, nelle diverse lotte nazionali dei proletari essi pongono in evidenza e
affermano gli interessi comuni di tutto il proletariato, indipendentemente dalla
nazionalità; dall'altro, perché essi esprimono sempre l'interesse complessivo
del movimento nelle diverse fasi in cui si sviluppa la lotta fra proletariato e
borghesia.
I comunisti sono pertanto nella pratica la parte più decisa e più avanzata dei
partiti operai di ogni paese, e dal punto di vista teorico essi sono
anticipatamente consapevoli delle condizioni, del corso e dei risultati
complessivi del movimento proletario.
Il primo compito dei comunisti è identico a quello di tutti gli altri partiti
proletari: costituzione del proletariato in classe, annientamento del dominio
della borghesia, conquista del potere politico da parte del proletariato.
Le formulazioni teoriche dei comunisti non riposano affatto su idee, su
princìpi scoperti da questo o quel riformatore del mondo.
Essi sono solo l'espressione generale di rapporti effettivi di una lotta di
classe che esiste, di un movimento storico che si svolge sotto i nostri occhi.
L'eliminazione di rapporti di proprietà finora vigenti non è qualcosa di
specificamente comunista.
Tutti i rapporti di proprietà sono stati soggetti nel corso della storia a un
cambiamento continuo.
Ad esempio, la Rivoluzione francese abolì la proprietà feudale a vantaggio di
quella borghese.
Ciò che distingue il comunismo non è l'eliminazione della proprietà in quanto
tale, bensì l'abolizione della proprietà borghese.
Ma la moderna proprietà privata borghese è l'ultima e più compiuta
espressione della creazione e dell'appropriazione dei prodotti fondata su
contrapposizioni di classe, sullo sfruttamento degli uni da parte degli altri .
In tal senso i comunisti possono riassumere la loro teoria in questa singola
espressione: abolizione della proprietà privata.
Si è rimproverato a noi comunisti di voler abolire la proprietà personale,
ottenuta con il proprio lavoro; la proprietà che costituirebbe la base di ogni
libertà, attività e indipendenza personale.
Proprietà guadagnata con il proprio lavoro! Parlate della proprietà
piccolo-borghese, piccolo-contadina, che ha preceduto la proprietà borghese?
Non abbiamo bisogno di abolirla, è lo sviluppo dell'industria che l'ha abolita
e l'abolisce giorno per giorno.
Oppure parlate della moderna proprietà privata borghese?
Ma il lavoro salariato, il suo lavoro, dà al proletario una proprietà? Niente
affatto. Esso crea il capitale, cioè la proprietà che sfrutta il lavoro
salariato, che può accrescersi solo a condizione di produrre nuovo lavoro
salariato, per sfruttarlo di nuovo. Nella sua forma attuale, la proprietà
deriva dalla contrapposizione di capitale e lavoro salariato. Osserviamo i due
lati di questa opposizione.
Essere capitalista significa assumere nella produzione una posizione non solo
puramente personale, ma sociale. Il capitale è un prodotto collettivo e può
essere messo in moto solo grazie a una comune attività di molti, anzi in ultima
istanza di tutti i membri della società.
Il capitale non è quindi un potere solo personale, è un potere sociale.
Se allora il capitale viene trasformato in proprietà collettiva, che appartiene
a tutti i membri della società, in tal modo non si muta una proprietà privata
in una proprietà collettiva. Cambia solo il carattere sociale della proprietà.
Essa perde il suo carattere di classe.
Veniamo al lavoro salariato.
Il prezzo medio del lavoro salariato è il minimo del compenso lavorativo, cioè
la somma dei mezzi di sussistenza necessari a mantenere in vita il lavoratore in
quanto lavoratore. Ciò di cui dunque il lavoratore si appropria attraverso la
sua attività, basta appena per ricreare le condizioni minime per sopravvivere.
Noi non vogliamo affatto abolire questa appropriazione personale dei prodotti
del lavoro necessari a ricostituire le condizioni minime di sopravvivenza,
un'appropriazione da cui non deriva alcun ricavo che potrebbe conferire potere
sul lavoro altrui. Noi vogliamo solo eliminare il carattere miserevole di tale
appropriazione, in cui il lavoratore vive solo per accrescere il capitale, e
continua a vivere solo in quanto lo esige l'interesse della classe dominante.
Nella società borghese il lavoro vivo è solo un mezzo per accrescere il lavoro
accumulato. Nella società comunista il lavoro accumulato è solo un mezzo per
ampliare, arricchire e migliorare la vita dei lavoratori.
Nella società borghese è dunque il passato che domina sul presente, in quella
comunista è il presente che domina sul passato. Nella società borghese il
capitale è indipendente e personale, mentre l'individuo attivo è dipendente e
impersonale.
E l'abolizione di questo rapporto la borghesia la chiama abolizione della
personalità e della libertà! E a ragione. Si tratta però dell'abolizione
della personalità, indipendenza e libertà borghesi.
Con "libertà" si intende nell'ambito degli attuali rapporti borghesi
di produzione il libero commercio, la libertà di acquistare e di vendere.
Ma se scompare il traffico, allora scompare anche il libero traffico. Gli
stereotipi a proposito del libero traffico, come tutte le ulteriori bravate
liberali del nostro borghese, hanno un senso solo nei confronti del traffico
vincolato, nei confronti del cittadino medievale asservito, ma non nei confronti
dell'abolizione comunista del traffico, dei rapporti borghesi di produzione e
della stessa borghesia.
Voi inorridite perché noi vogliamo eliminare la proprietà privata. Ma nella
vostra società esistente la proprietà privata è abolita per i nove decimi dei
suoi membri; anzi, essa esiste proprio in quanto non esiste per quei nove
decimi. Voi ci accusate dunque di voler abolire una proprietà che verte
necessariamente sulla mancanza di proprietà della stragrande maggioranza della
popolazione.
In una parola, voi ci accusate di voler abolire la vostra proprietà. È proprio
quello che vogliamo.
Dal momento in cui il lavoro non può più essere trasformato in capitale,
denaro, rendita fondiaria - in breve, in un potere sociale monopolizzabile -,
cioè dal momento in cui la proprietà personale non può tramutarsi in
proprietà borghese, da quel momento voi dichiarate che ad essere abolita è la
persona.
Voi ammettete così di considerare come persona nient'altro che il borghese, il
proprietario borghese. Epperò questa persona deve essere abolita.
Il comunismo non impedisce a nessuno di appropriarsi dei prodotti della
società, impedisce solo di sottomettere il lavoro altrui per mezzo di tale
appropriazione.
Si è obiettato che con l'abolizione della proprietà privata ogni attività
cesserebbe e si affermerebbe una pigrizia generalizzata.
Secondo una simile interpretazione la società borghese dovrebbe essere già da
tempo scomparsa per colpa dell'indolenza, giacché coloro che vi lavorano non
guadagnano, e coloro che vi guadagnano non lavorano. Tutta questa riflessione
porta alla tautologia per cui il lavoro salariato cessa di esistere nel momento
in cui non esiste più il capitale.
Tutte le obiezioni rivolte contro il modo comunista di appropriazione e di
produzione dei prodotti materiali sono state sviluppate allo stesso titolo nei
confronti dell'appropriazione e della produzione dei prodotti spirituali. Come
per il borghese la fine della proprietà di classe significa la fine della
produzione stessa, così per lui la fine della cultura di classe è identica
alla fine della cultura in quanto tale.
La cultura di cui egli lamenta la perdita è per l'enorme maggioranza la
preparazione a diventare una macchina.
Ma non dibattete con noi misurando la liquidazione della proprietà borghese in
base alle vostre concezioni borghesi della libertà, della cultura, del diritto
e così via. Le vostre idee stesse derivano dai rapporti di produzione e di
proprietà borghesi, così come il vostro diritto non è altro che la
codificazione della volontà della vostra classe, volontà il cui contenuto è
dato dalle condizioni materiali di esistenza della vostra classe.
Voi condividete con tutte le classi dominanti tramontate la concezione
interessata grazie alla quale affermate come leggi eterne della natura e della
ragione i vostri rapporti di produzione e di proprietà, frutto di rapporti
storici, rapporti che evolvono nel corso della produzione. Ciò che voi
intendete come proprietà antica, ciò che voi intendete come proprietà
feudale, non lo potete più intendere come proprietà borghese.
Abolizione della famiglia! Persino i più radicali si indignano per questo
scandaloso intento dei comunisti.
Su che cosa poggia la famiglia attuale, la famiglia borghese? Sul capitale, sul
reddito privato. In senso pieno essa esiste solo per la borghesia; ma essa trova
il suo completamento nell'imposizione ai proletari di non avere una famiglia e
nella prostituzione pubblica.
La famiglia del borghese decade naturalmente con l'eliminazione di questo suo
proprio completamento ed entrambi scompaiono con la scomparsa del capitale.
Voi ci rimproverate di voler abolire lo sfruttamento dei bambini da parte dei
loro genitori? Confessiamo questo crimine.
Ma voi dite che noi aboliamo i rapporti più cari sostituendo con l'educazione
sociale quella impartita a domicilio.
E forse che la vostra stessa educazione non è determinata dalla società? Dai
rapporti sociali nel cui ambito voi educate, dall'interferenza più o meno
diretta o indiretta della società per mezzo della scuola e così via? Non sono
i comunisti a inventare l'intervento della società nell'educazione; ne cambiano
solo il carattere, sottraggono l'educazione all'influsso di una classe
dominante.
Gli stereotipi borghesi sulla famiglia e sull'educazione, sull'affettuoso
rapporto fra genitori e figli, diventano tanto più nauseanti quanto più per i
proletari vengono spezzati tutti i vincoli familiari e i figli sono trasformati
in semplici articoli di commercio e strumenti di lavoro.
"Ma voi comunisti volete introdurre la comunanza delle donne!",
strepita in coro contro di noi l'intera borghesia.
Il borghese vede in sua moglie un puro strumento di produzione. Egli sente dire
che gli strumenti di produzione devono essere sfruttati in comune e non può
naturalmente fare a meno di pensare che il destino della comunanza toccherà
anche alle donne.
Non gli viene in mente che si tratta proprio di abolire la posizione delle donne
come puri strumenti di produzione.
D'altronde non c'è nulla di più ridicolo del moralissimo orrore del nostro
borghese per la pretesa comunanza ufficiale delle donne fra i comunisti. I
comunisti non hanno bisogno di introdurre la comunanza delle donne, giacché
essa è quasi sempre esistita.
Non contento del fatto che le mogli e le figlie dei suoi proletari siano a sua
disposizione - per tacere della prostituzione ufficiale - i nostri borghesi
trovano sommo piacere nel sedurre reciprocamente le rispettive mogli.
In realtà, il matrimonio borghese è la comunanza delle mogli. Al massimo, si
potrebbe rimproverare ai comunisti di voler sostituire una comunanza delle mogli
ufficiale, aperta, a una comunanza ipocritamente nascosta. Eppoi va da sé che
con l'abolizione dei rapporti di produzione vigenti sparisce per conseguenza
anche la comunanza delle donne che ne deriva, cioè la prostituzione ufficiale e
ufficiosa.
Si è inoltre rimproverato ai comunisti di voler liquidare la patria, la
nazionalità.
I lavoratori non hanno patria. Non si può togliere loro ciò che non hanno.
Dovendo anzitutto conquistare il potere politico, elevarsi a classe nazionale ,
costituirsi in nazione, il proletariato resta ancora nazionale, ma per nulla
affatto nel senso in cui lo è la borghesia.
Le divisioni e gli antagonismi nazionali fra i popoli tendono sempre più a
scomparire già con lo sviluppo della borghesia, con la libertà del commercio,
con il mercato mondiale, con l'uniformità della produzione industriale e delle
condizioni di vita che ne derivano.
Il potere proletario li farà scomparire ancora di più. L'azione comune almeno
dei paesi più civilizzati è una delle prime condizioni della sua liberazione.
In tanto in quanto viene eliminato lo sfruttamento del singolo individuo da
parte di un altro, svanisce anche lo sfruttamento di una nazione da parte di
un'altra.
Con l'antagonismo delle classi all'interno delle nazioni cade la reciproca
ostilità fra le nazioni.
Alle accuse contro il comunismo rivolte in genere sulla base di punti di vista
religiosi, filosofici e ideologici non serve opporre più dettagliata risposta.
È necessario un profondo sforzo intellettuale per capire che anche le
concezioni, le opinioni e i concetti - in una parola, la coscienza - di ciascuno
cambiano insieme alle sue condizioni di vita, alle sue relazioni sociali, alla
sua collocazione nella società?
La storia delle idee dimostra che la produzione spirituale si conforma alla
produzione materiale. In ogni epoca hanno sempre dominato le idee della classe
dominante.
Si parla di idee che rivoluzionano un'intera società; così non si fa che
esprimere il fatto che all'interno della vecchia società si sono formati gli
elementi di una società nuova, che la dissoluzione dei vecchi modi di vita va
di pari passo con la dissoluzione delle vecchie idee.
Quando il mondo antico fu per tramontare, le religioni dell'antichità furono
vinte dal cristianesimo. Quando, nel XVIII secolo, le idee cristiane
soccombettero alle idee dell'illuminismo, la società feudale ingaggiò la sua
lotta con l'allora rivoluzionaria borghesia. Le idee di libertà di coscienza e
di religione non esprimevano altro che il dominio della libera concorrenza nel
campo coscienziale .
Si opporrà che le idee religiose, morali, filosofiche, politiche, giuridiche,
ecc., si sono modificate lungo il corso della storia. Eppure in questi
cambiamenti la religione, la morale, la filosofia, la politica, il diritto si
sono conservati.
Ci sono poi verità eterne come la libertà, la giustizia, ecc., comuni a tutte
le condizioni sociali. Ma il comunismo liquida le verità eterne, liquida la
religione, la morale, invece di dar loro nuova forma - esso dunque contraddice
il corso della storia così come si è finora sviluppato.
A che cosa si riduce questa accusa? L'intera storia della società si è
sviluppata finora attraverso le contrapposizioni di classe, diverse a seconda
delle diverse epoche.
Ma qualunque forma assumesse, lo sfruttamento di una parte della società da
parte dell'altra è un fatto comune a tutti i secoli passati. Nessuna sorpresa
dunque che la coscienza sociale di qualsiasi secolo, malgrado ogni varietà e
diversificazione, si muova in determinate forme comuni - forme di coscienza -
che si estinguono completamente solo a seguito della totale scomparsa della
contrapposizione di classe.
La rivoluzione comunista è la rottura più radicale con i rapporti tradizionali
di proprietà. Non meraviglia dunque che nel suo sviluppo essa rompa nel modo
più radicale con le idee tradizionali.
Ma lasciamo stare le obiezioni della borghesia contro il comunismo.
Abbiamo già visto sopra che il primo passo nella rivoluzione dei lavoratori è
l'elevazione del proletariato a classe dominante, la conquista della democrazia.
Il proletariato userà il suo potere politico per strappare progressivamente
alla borghesia tutti i suoi capitali, per centralizzare tutti gli strumenti di
produzione nelle mani dello Stato, dunque del proletariato organizzato in classe
dominante, e per moltiplicare il più rapidamente possibile la massa delle forze
produttive.
In un primo momento ciò può accadere solo per mezzo di interventi dispotici
sul diritto di proprietà e sui rapporti di produzione borghesi, insomma
attraverso misure che appaiono economicamente insufficienti e inconsistenti, ma
che nel corso del movimento si spingono oltre i propri limiti e sono inevitabili
strumenti di trasformazione dell'intero modo di produzione.
Queste misure saranno naturalmente differenti da paese a paese.
Per i paesi più sviluppati potranno comunque essere molto generalmente prese le
misure seguenti:
1) Espropriazione della proprietà fondiaria e impiego della proprietà
fondiaria per le spese dello Stato.
2) Forte imposta progressiva.
3) Abolizione del diritto di successione.
4) Confisca della proprietà di tutti gli emigrati e ribelli.
5) Centralizzazione del credito nelle mani dello Stato attraverso una banca
nazionale dotata di capitale di Stato e monopolio assoluto.
6) Centralizzazione di ogni mezzo di trasporto nelle mani dello Stato.
7) Moltiplicazione delle fabbriche nazionali, degli strumenti di produzione,
dissodamento e miglioramento dei terreni secondo un piano sociale.
8) Uguale obbligo di lavoro per tutti, costituzione di eserciti industriali,
specialmente per l'agricoltura.
9) Unificazione dell'esercizio dell'agricoltura e dell'industria, misure volte
ad abolire gradualmente la contrapposizione di città e campagna.
10) Educazione pubblica e gratuita di tutti i bambini. Abolizione del lavoro dei
bambini nelle fabbriche nella sua forma attuale. Fusione di educazione e
produzione materiale, ecc., ecc.
Una volta sparite, nel corso di questa evoluzione, le differenze di classe, e
una volta concentrata tutta la produzione nelle mani degli individui associati,
il potere pubblico perderà il suo carattere politico. Il potere pubblico in
senso proprio è il potere organizzato di una classe per soggiogarne un'altra.
Quando il proletariato inevitabilmente si unifica nella lotta contro la
borghesia, erigendosi a classe egemone in seguito a una rivoluzione, e abolendo
con la violenza, in quanto classe egemone, i vecchi rapporti di produzione,
insieme a quei rapporti di produzione esso abolisce anche le condizioni di
esistenza della contrapposizione di classe, delle27 classi in genere, e così
anche il suo proprio dominio in quanto classe.
Al posto della vecchia società borghese con le sue classi e le sue
contrapposizioni di classe, subentra un'associazione in cui il libero sviluppo
di ciascuno è condizione del libero sviluppo di tutti.
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