La
nascita del
PARTITO
DEI COMUNISTI ITALIANI
Diamo qui una breve storia della nascita del Partito dei Comunisti Italiani a livello nazionale, per la storia del PdCI a livello locale clicca qui.
Il Partito dei Comunisti Italiani è nato a Roma l’11 ottobre del 1998. Esso fa riferimento al marxismo e agli sviluppi della sua cultura, alla storia e all'esperienza dei comunisti italiani, ai principi della lotta antifascista e della Costituzione, e persegue il superamento del capitalismo e la trasformazione della società. Per
comprendere il perché della nostra nascita occorre necessariamente
ripercorrere le fasi politiche che caratterizzarono la fine del 1997 e tutto
il 1998.
Il Partito della Rifondazione Comunista, partito fondato nel 1991 da
Armando Cossutta, durante quel periodo fu infatti attraversato da un profondo
dibattito sulla natura del partito e le sue prospettive. Questo dibattito
aveva avuto inizio nell’autunno del 1997 quando per la prima volta si
verificò la rottura del patto Ulivo-Rifondazione che aveva consentito
di vincere le elezioni politiche nazionali del 1996. Di fronte alla prima
crisi del Governo Prodi ci fu una grande mobilitazione del popolo della
sinistra e rimane nella memoria la delegazione degli operai di Brescia che
scesero con molti pullman a Roma per chiedere ad Ulivo e PRC di ricostruire
l’unità. Alla fine la crisi fu risolta sulla base di un accordo che poteva
rappresentare un nuovo inizio per l’alleanza tra PRC e Ulivo. Invece
progressivamente divenne chiaro che il segretario di Rifondazione Bertinotti
puntava a riproporre la rottura alla prima occasione per far passare il
partito all’opposizione. Non si trattava solo di una discussione in merito
alla legge finanziaria o alla politica economica dell’Ulivo. Ciò che
proponeva Bertinotti era uno stravolgimento della strategia fondata sul
binomio “l’autonomia dei comunisti e l’unità con le forze della
sinistra”, uscita dal III Congresso del partito. Progressivamente avanzò
l’idea che solo dall’opposizione sarebbe stato possibile rilanciare le
lotte politiche e sociali e che il centrosinistra rappresentava un ostacolo da
abbattere.
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Cronologia
(da FAUSTO MARCHETTI, La caduta di Prodi, Carrara:Acrobatmedia, 2000) 1996, 21 aprile: vittoria della coalizione dell'Ulivo. Prodi governa. 1997, gennaio: varata la commissione bicamerale per la riforma della Costituzione (voto finale favorevole anche da parte di Rifondazione Comunista), presidente D'Alema. La maggioranza esprime un orientamento presidenzialista, RC presenta una relazione di minoranza. ottobre: Bertinotti - segretario di RC - ripropone a Prodi le 35 ore settimanali da realizzarsi entro il 2000, la difesa pensioni d'anzianità, la lotta all'evasione fiscale. 1998, 12 febbraio: a Firenze il PDS dà vita (con i Cristiano Sociali e i laburisti di Spini) ai "Democratici di Sinistra" (la "cosa 2") marzo: il governo vara il disegno di legge sulle 35 ore da attuare entro il 2001 aprile: il primo congresso di Forza Italia abbandona il presidenzialismo a favore del premierato alla tedesca e sul sistema elettorale proporzionale. La Camera nega l'autorizzazione all'arresto di Previti (ai voti del Polo si aggiungono quelli della Lega e di molti popolaari) 27 maggio: Berlusconi nel suo intervento alla Camera affossa la Bicamerale 8 settembre: Bertinotti dichiara alla Festa Nazionale dell'Unità che l'eventuale "nostro ritorno all'opposizione no deve esser considerato una tragedia, perché in tante parti d'Europa questo non ha significato la fine della speranza" 11 settembre: 25 segretari provinciali e regionali di RC si schierano contro le posizioni uliviste di Cossutta (presidente di RC) 17 settembre: Cossutta dichiara nella segreteria di RC che non è disponibile a togliere il sostegno al governo, e paventa "il rischio di una vittoria di B. e dei suoi amici" 25 settembre: Prodi presenta la Finanziaria 1999, che prevede 1200 miliardi in più per la "politica di sollievo sociale a favore delle categorie più deboli". Bertinotti risponde che "non siamo dal salumiere o dal droghiere, bisogna vedere la struttura complessiva della manovra". Il 27 rompe definitivamente sostenendo che la Finanziaria è "inemendabile" 3-4 ottobre: il Comitato Politico Nazionale di RC appoggia con 188 voti le posizioni di Bertinotti di voto contrario alla finanziaria e di negare la fiducia - chiesta da Prodi per il suo ogverno; 112 voti vanno alla mozione Cossutta. Bertinotti si rifiuta di convocare il congresso, chiesto da Cossutta per verificare il sostegno al governo Prodi. Il 5 Cossutta si dimette da presidente del PRC. Il 7 alla Camera Prodi si appella a Bertinotti con la "passione di chi sa bene che oggi è in gioco molto più che un equilibrio di governo" Non si "rassegna" all'idea che "sia bocciato il primo grande esperimento di governo sorretto da una coalizione che comprende tutte le forme del riformismo italiano::: un governo espressione di un grande sforzo comune alla migliore tradizione cattolica, laica e socialista". L'8 Prodi prende atto della posizione di RC "contraria al governo" e la considera "immotivata" e "dannosa per lo stesso partito che l'ha assunta", chiede però espressamente il voto di Cossutta e di chi lo segue. Diliberto si impegna a votare la fiducia. il 9 la fiducia ottiene 312 Si contro 313 NO. E' la prima volta nella storia della Repubblica che una crisi di governo discende direttamente da un formale voto parlamentare. La maggioranza dell'Ulivo (al quale ora partecipano anche i "Comunisti italiani" nati dal voto di sostegno a Prodi) propone il reincarico, ma Prodi lo potrebbe vivere come un'umiliazione: dovrebbe infatti passare sotto le forche caudine di Cossiga, Mastella e Buttiglione. Il 15 i capigruppo dell'Ulivo e Prodi propongono D'Alema (poco prima indicato da Cossutta) alla guida di un governo con ministri comunisti e dell'UDR. La caduta di Prodi non fu opera né delle destre, né di D'Alema, che cadrà senza solidarietà, con un atto di dimissioni dettato dal suo orgoglio, ma anche dalla dignità (per l'arretramento dell'Ulivo nelle elezioni amministrative). 2000 maggio: il Comitato Centrale del PdCI elegge Oliviero Diliberto alla carica di segretario nazionale. |
La
questione era quindi strategica ed ideologica e coinvolgeva la stessa natura
del partito. Così l’allora Presidente di Rifondazione Armando Cossutta
decise di far emergere la discussione di fronte al partito e con un deciso
editoriale sulle colonne della rivista mensile Rifondazione, si interrogò sui
problemi della forma partito e della strategia complessiva che un moderno
partito comunista deve avere alle soglie del nuovo secolo.
In
questo modo il partito ebbe la possibilità di conoscere i diversi punti di
vista e la divaricazione crescente tra il Presidente del partito Armando
Cossutta e il Segretario Fausto Bertinotti proprio sul ruolo e sulla funzione
che i comunisti devono oggi svolgere in Italia e nei rapporti internazionali.
Ci fu anche una diversa valutazione sulla natura delle destre in Italia.
Cossutta ne denunciava la natura eversiva evidenziando come
Berlusconi rappresentava (e rappresenta tutt’ora) il peggio del
neoliberismo, come Fini fosse l’erede dei fascisti e la Lega perseguisse una
politica razzista e xenofoba. Bertinotti al contrario non riteneva la lotta
contro le destre una priorità ma concentrava le sue analisi e critiche
verso il centrosinistra.
Durante
l’estate del 1998 infatti la polemica all’interno di Rifondazione
Comunista divenne aspra. Il responsabile della politica economica di
Rifondazione Nerio Nesi propose infatti un preambolo alla legge finanziaria
che avrebbe dovuto contenere le basi di una nuova fase della politica
economica. Il segretario Bertinotti lo attaccò violentemente prefigurando al
contrario la rottura con l’Ulivo.
Nel
partito cresceva la preoccupazione e decine di dirigenti locali chiesero ai
vertici di trovare la sintesi tra le due linee. Cossutta riprese queste
richieste. Bertinotti invece le rifiutò sostenendo l’impossibilità di una
mediazione e la necessità di un governo unico del partito. Ciò rese evidente
ai militanti che la rottura non era sulla tattica ma sulla strategia e sulla
natura stessa del partito.
Dal
2 al 4 ottobre del 1998 venne convocato il Comitato politico nazionale (CPN),
nel quale il Segretario del partito propose di non votare la legge finanziaria
presentata dal Governo presieduto da Romano Prodi e dunque, in termini
politico-istituzionali, di far cadere il Governo di centrosinistra.
Nella
stessa riunione il Presidente Cossutta sostenne invece che era necessario
lasciare ancora aperta la trattativa politica con il Governo. Cossutta si
interrogò quindi su quello che sarebbe stato il futuro del partito se questo
si fosse separato, come non era mai avvenuto nella storia del movimento dei
lavoratori e dei comunisti italiani, dagli
interessi delle classi sociali più deboli e dal complesso degli interessi
generali del Paese.
Contemporaneamente
Oliviero Diliberto, Capogruppo alla Camera dei Deputati, denunciò apertamente
la “mutazione genetica” del partito e cioè la fuoriuscita dalla
tradizione politica dei comunisti italiani per approdare ad un nuovo
massimalismo demagogico.
Dopo
un intensissimo dibattito la posizione di Bertinotti prevalse nel Comitato
Politico Nazionale grazie al sostegno della componente trotzkista che, non a
caso, si era opposta alla linea del terzo congresso.
Si
trattava di un atto antistatutario perché il Comitato Politico Nazionale non
poteva cambiare la strategia politica fondamentale del partito fra un
congresso e l’altro.
Il 5 ottobre Armando Cossutta annunciò le sue dimissioni
dall’incarico di Presidente del partito suggellando con esse il suo totale
dissenso dalla nuova linea strategica che il Comitato politico nazionale aveva
imposto al partito. Cossutta non intendeva svolgere una funzione dirigente in
partito che stava per far cadere il Governo Prodi consegnando di fatto il
Paese alle destre. In quella occasione furono ribadite le scelte fondamentali
che un Partito comunista deve operare per essere attento alle esigenze e ai
problemi delle masse popolari battendo sia le politiche neoliberiste ma anche
evitando sterili derive estremistiche e massimaliste.
Anche i gruppi parlamentari del PRC furono chiamati a pronunciarsi
sulla linea che il Comitato politico nazionale aveva preso attraverso la
palese violazione delle norme statutarie. I parlamentari comunisti respinsero
a larga maggioranza la linea di rottura con le altre forze democratiche ma
affermarono che si sarebbero adeguati alle decisioni del partito.
Il
Capogruppo Diliberto lo stesso 5 ottobre rilasciò un’intervista a L’Unità
nella quale ripercorreva la storia di Rifondazione Comunista. Diliberto
denunciò come quel partito, nato dal bisogno oggettivo di rinnovare la
tradizione dei comunisti italiani, con la scelta di rompere con il
centrosinistra rinnegava la sua natura in nome di una politica settaria e
massimalista contraria agli
interessi delle classi sociali più deboli e dei lavoratori.
All’interno del partito si viveva tutto questo con grande ansia e
preoccupazione. Il meccanismo che aveva portato a quella scelta non aveva
tenuto conto del fatto che i compagni di base volevano dire la loro su una
scelta così dirompente che mutava la strategia del partito. Migliaia furono i
fax e le telefonate che giunsero alla sede della Direzione Nazionale. Tutto ciò
spinse i compagni e le compagne, che non si riconoscevano nella decisione del
CPN, ad autoconvocarsi presso il Palazzo delle Esposizioni di Roma per il
giorno 7 ottobre.
A
quella riunione furono presenti migliaia di compagni e di compagne, dirigenti
dei circoli, delle federazioni, dei comitati regionali, amministratori locali,
ex partigiani, rappresentanti sindacali che cercavano il modo di dire la loro
sulla situazione politica che si era venuta creando.
Il
messaggio che scaturì da quella riunione, improvvisata ma affollatissima ben
oltre la capienza della sala, fu perentorio: no alla rottura con il
centrosinistra, no al ritorno delle destre.
A
nome di decine di segretari provinciali e regionali toccò a Jacopo Venier,
giovane segretario della federazione di Trieste, leggere un appello che si
concludeva con la richiesta ai gruppi parlamentari di ascoltare la voce della
base e non quella del CPN e quindi non votare la sfiducia al Governo Prodi.
In
quel momento fu chiaro che si stava determinando la rottura di Rifondazione
Comunista.
Venerdi
9 ottobre, Oliviero Diliberto, a nome di migliaia e migliaia di compagne e
compagne di tutta Italia annunciò, di fronte alla Camera dei Deputati ed al
Paese, che la maggioranza assoluta del Gruppo parlamentare avrebbe votato a
favore del Governo Prodi.
Pochi minuti dopo però, tra l’esultanza delle destre, per un solo
voto, di un deputato di Rifondazione, alla Camera il Governo di centrosinistra
di Prodi fu sfiduciato. I voti dei fascisti, delle destre, della Lega si erano
sommati a quelli dei deputati che erano rimasti con Bertinotti.
Cossutta
in quelle stesse ore rilasciò un’intervista a L’Unità in cui ribadì
l’assoluta necessità che in Italia vi fosse un Partito comunista capace di
garantire, rinnovandola, l’energia e l’azione propria della grande
tradizione dei comunisti italiani.
Domenica
11 ottobre venne convocata al Cinema Metropolitan di Roma la prima
manifestazione di tutti i compagni e le compagne che volevano dare vita alla
costituente per un nuovo soggetto politico comunista in Italia. In quel
momento nacque il Partito dei Comunisti Italiani.
Per descrivere lo spirito dei militanti che lo hanno fondato è significativo ricordare le parole di un compagno operaio intervenuto alla manifestazione. Questo compagno disse che il PdCI era il partito “di chi pensa che la rivoluzione non sia da archiviare, che essa non sia un mero riferimento culturale, né tantomeno una bandiera da agitare. Noi dobbiamo cambiare il mondo dalle fondamenta e per questo abbiamo bisogno di un Partito comunista che faccia politica e non propaganda.”
Da subito il nuovo partito si trovò di fronte a grandi le
responsabilità. Dopo la caduta del Governo Prodi le destre chiesero elezioni
immediate per approfittare della divisione a sinistra e conquistare il potere.
Le forze democratiche decisero invece la nascita del Governo presieduto da
Massimo D’Alema allora segretario dei DS. Si trattava di una svolta storica.
In questo Governo, per la prima volta dai tempi della Costituente (quando era
rappresentato nel Governo anche il Partito Comunista Italiano) furono nominati
dei Ministri della Repubblica comunisti. Non solo il Primo Ministro proveniva
dalla storia e dalla tradizione del PCI, ma entrarono al Governo ministri
orgogliosamente comunisti con incarichi di assoluto rilievo e prestigio. Il
compagno Oliviero Diliberto fu nominato Ministro di Grazia e Giustizia, ruolo
che in passato è stato ricoperto da un grande comunista italiano: Palmiro
Togliatti. A fianco di Diliberto venne nominata la compagna Katia Bellillo in
qualità di Ministro degli Affari Regionali. Inoltre rilevante e qualificata
è stata la presenza di Sottosegretari comunisti con i compagni Paolo Guerrini
alla Difesa, Antonino Cuffaro all'Università e Ricerca Scientifica e Claudio
Caron al Lavoro.
Negli stessi giorni iniziò la costruzione organizzativa del partito.
Immediatamente si contarono trentamila iscritti, 27 parlamentari, 28
consiglieri regionali, quasi mille amministratori locali. Questi compagni
venivano in gran parte da Rifondazione ma ci furono anche tanti che ripresero
la militanza attiva nel nuovo partito come Adalberto Minucci, sia membro della
Direzione nazionale del PCI che direttore di Rinascita, che entrò a far parte
della segreteria nazionale del PdCI.
In
quei primi giorni si manifestò la natura del partito. Il Partito dei
Comunisti Italiani è nato come partito pienamente politico che intende
riprendere la migliore tradizione dei comunisti italiani, affrontando
concretamente la sfida del Governo per gli interessi dei lavoratori e dei ceti
popolari. Un partito che rifuggiva ogni massimalismo e che sapeva che i
principi e le idee devono vivere nella lotta concreta e difficile di ogni
giorno.
Da
quel momento il Partito dei Comunisti Italiani ha dovuto affrontare molte
sfide. Ha rappresentato “la sinistra del centrosinistra” battendosi anche
all’interno della coalizione di cui fa parte perché si affermassero sempre
più politiche per la pace, per i diritti civili e sociali, per riforme
profonde nell’interesse dei lavoratori. Si è presentato alle elezioni per
il Parlamento Europeo, per l’elezione dei Consigli Regionali, Provinciali e
Comunali ottenendo buoni risultati che hanno consolidato il suo insediamento
nella realtà politica italiana. Nel maggio del 2000 poi, in occasione di una
modifica degli assetti del Governo, il Comitato Centrale del PdCI ha accolto
all’unanimità la proposta del presidente del Partito Cossutta di eleggere
Oliviero Diliberto alla carica di segretario nazionale. Diliberto aveva
infatti chiesto di lasciare l’importantissimo incarico istituzionale per
dedicarsi al partito.
Oggi
il PdCI ha conquistato un importante spazio politico ed elettorale in Italia.
Fa parte della alleanza di centrosinistra “ Ulivo – Insieme per
l’Italia”, si batte per una maggiore unità della sinistra proponendo una
confederazione tra le forze della sinistra, lotta con successo nelle
istituzioni e nel Paese per gli interessi delle classi popolari e contro
l’offensiva delle destre.
"Noi non possiamo
accontentarci di criticare o di inveire, e sia pure nel modo più brillante.
Dobbiamo possedere una soluzione di tutti i problemi nazionali. Siamo
convinti di non lavorare soltanto per noi stessi, ma nell'interesse di tutta
l'Italia, che
ha bisogno di un grande, di un forte partito comunista.
Noi creeremo questo partito"
(Palmiro Togliatti)