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15-18bis
Il
fascismo e la sua politica
15. Il
fascismo, come movimento di reazione armata che si propone lo scopo di
disgregare e di disorganizzare la classe lavoratrice per immobilizzarla, rientra
nel quadro della politica tradizionale delle classi dirigenti italiane, e nella
lotta del capitalismo contro la classe operaia. Esso è perciò favorito nelle
sue origini, nella sua organizzazione e nel suo cammino da tutti indistintamente
i vecchi gruppi dirigenti, a preferenza però dagli agrari i quali sentono più
minacciosa la pressione delle plebi rurali.
Socialmente
però il fascismo trova la sua base nella piccola borghesia urbana e in una
nuova borghesia agraria sorta da una trasformazione della proprietà rurale in
alcune regioni (fenomeni di capitalismo agrario nell'Emilia, origine di una
categoria di intermediari di campagna, "borse della terra", nuove
ripartizioni di terreni). Questo fatto è il fatto di aver trovato una unità
ideologica e organizzata nelle formazioni militari in cui rivive la tradizione
della guerra (arditismo) e che servono alla guerriglia contro i lavoratori,
permettendo al fascismo di concepire ed attuare un piano di conquista dello
Stato in contrapposizione ai vecchi ceti dirigenti.
Assurdo
parlare di rivoluzione. Le nuove energie che si raccolgono attorno al fascismo
traggono però dalla loro origine una omogeneità e una comune mentalità di
"capitalismo nascente". Ciò spiega come sia possibile la lotta contro
gli uomini politici del passato e come esse possano giustificarla con una
costruzione ideologica in contrasto con le teorie tradizionali dello Stato e dei
suoi rapporti con i cittadini.
Nella
sostanza il fascismo modifica il programma di conservazione e di reazione che ha
sempre dominato la politica italiana soltanto per un diverso modo di concepire
il processo di unificazione delle forze reazionarie. Alla tattica degli accordi
e dei compromessi esso sostituisce il proposito di realizzare una unità
organica di tutte le forze della borghesia in un solo organismo politico sotto
il controllo di una unica centrale che dovrebbe dirigere insieme il partito, il
governo e lo Stato. Questo proposito corrisponde alla volontà di resistere a
fondo ad ogni attacco rivoluzionario, il che permette al fascismo di raccogliere
le adesioni della parte più decisamente reazionaria della borghesia industriale
e degli agrari.
16. Il
metodo fascista di difesa dell'ordine, della proprietà e dello Stato è, ancora
più del sistema tradizionale dei compromessi e della politica di sinistra,
disgregatore della compagine sociale e delle sue sovrastrutture politiche. Le
reazioni che esso provoca devono essere esaminate in relazione alla sua
applicazione sia nel campo economico che nel campo politico. Nel campo politico,
anzitutto, l'unità organica della borghesia nel fascismo non si realizza
immediatamente dopo la conquista del potere.
Al di
fuori del fascismo rimangono i centri di opposizione borghese al regime. Da una
parte non viene assorbito il gruppo che tiene fede alla soluzione giolittiana
del problema Stato. Questo gruppo si collega a una sezione della borghesia
industriale e, con un programma di riformismo "laburista", esercita
influenza sopra strati di operai e piccoli borghesi. Dall'altra parte il
programma di fondare lo Stato sopra una democrazia rurale del Mezzogiorno e
sopra la parte "sana" della industria settentrionale ("Corriere
della sera", liberismo, Nitti) tende a diventare programma di una
organizzazione politica di opposizione al fascismo con basi di massa nel
Mezzogiorno (Unione nazionale).
Il
fascismo è costretto a lottare contro questi gruppi superstiti molto
vivacemente e a lottare con vivacità anche maggiore contro la massoneria, che
esso considera giustamente come centro di organizzazione di tutte le
tradizionali forze di sostegno dello Stato. Questa lotta, che è, volere o no,
l'indizio di una spezzatura del blocco delle forze conservatrici e
antiproletarie, può in determinate circostanze favorire lo sviluppo e
l'affermazione del proletariato come terzo e decisivo fattore di una situazione
politica.
Nel campo
economico il fascismo agisce come strumento di una oligarchia industriale e
agraria per accentrare nelle mani del capitalismo il controllo di tutte le
ricchezze del paese. Ciò non può fare a meno di provocare un malcontento nella
piccola borghesia la quale, con l'avvento del fascismo, credeva giunta l'era del
suo dominio. Tutta una serie di misure viene adottata dal fascismo per favorire
una nuova concentrazione industriale (abolizione della imposta di successione,
politica finanziaria e fiscale, inasprimento del protezionismo), e ad esse
corrispondono altre misure a favore degli agrari e contro i piccoli e medi
coltivatori (imposte, dazio sul grano, "battaglia del grano").
L'accumulazione
che queste misure determinano non è un accrescimento di ricchezza nazionale, ma
è spoliazione di una classe a favore di un'altra, e cioè delle classi
lavoratrici e medie a favore della plutocrazia. Il disegno di favorire la
plutocrazia appare sfacciatamente nel progetto di legalizzare nel nuovo codice
di commercio il regime delle azioni privilegiate; un piccolo pugno di finanzieri
viene, in questo modo, posto in condizioni di poter disporre senza controllo di
ingenti masse di risparmio provenienti dalla media e piccola borghesia e queste
categorie sono espropriate del diritto di disporre della loro ricchezza.
Nello
stesso piano, ma con conseguenze politiche più vaste, rientra il progetto di
unificazione delle banche di emissione, cioè, in pratica, di soppressione delle
due grandi banche meridionali. Queste due banche adempiono oggi la funzione di
assorbire i risparmi del Mezzogiorno e le rimesse degli emigranti (600 milioni),
cioè la funzione che nel passato adempivano lo Stato con la emissione di buoni
del tesoro e la Banca di sconto nell'interesse di una parte dell'industria
pesante del Nord. Le banche meridionali sono state controllate fino ad ora dalle
stesse classi dirigenti del Mezzogiorno, le quali hanno trovato in questo
controllo una base reale del loro dominio politico. La soppressione delle banche
meridionali come banche di emissione farà passare questa funzione alla grande
industria del Nord che controlla, attraverso la Banca commerciale, la Banca
d'Italia e verrà in questo modo accentuato lo sfruttamento economico
"coloniale" e l'impoverimento del Mezzogiorno, nonché accelerato il
lento processo di distacco dallo Stato anche della piccola borghesia
meridionale. La politica economica del fascismo si completa con i provvedimenti
intesi a rialzare il corso della moneta, a risanare il bilancio dello Stato, a
pagare i debiti di guerra e a favorire l'intervento del capitale
inglese-americano in Italia. In tutti questi campi il fascismo attua il
programma della plutocrazia (Nitti) e di una minoranza industriale-agraria ai
danni della grande maggioranza della popolazione le cui condizioni di vita sono
progressivamente peggiorate.
Coronamento
di tutta la propaganda ideologica, dell'azione politica ed economica del
fascismo è la tendenza di esso all' "imperialismo". Questa tendenza
è la espressione del bisogno sentito dalle classi dirigenti industriali-agrarie
italiane di trovare fuori del campo nazionale gli elementi per la risoluzione
della crisi della società italiana. Sono in essa i germi di una guerra che verrà
combattuta, in apparenza, per l'espansione italiana ma nella quale in realtà
l'Italia fascista sarà uno strumento nelle mani di uno dei gruppi imperialisti
che si contendono il dominio del mondo.
17. Si
determinano, in conseguenza della politica del fascismo, profonde reazioni delle
masse. Il fenomeno più grave è il distacco sempre più deciso delle
popolazioni agrarie del Mezzogiorno e delle Isole dal sistema di forze che
reggono lo Stato. La vecchia classe dirigente locale (Orlando, Di Cesarò, De
Nicola, ecc.) non esercita più in modo sistematico la sua funzione di anello di
congiunzione con lo Stato.
La piccola
borghesia tende quindi ad avvicinarsi ai contadini. Il sistema di sfruttamento e
di oppressione delle masse meridionali è portato dal fascismo all'estremo;
questo facilita la radicalizzazione anche delle categorie intermedie e pone la
questione meridionale nei suoi veri termini, come questione che sarà risolta
soltanto dalla insurrezione dei contadini alleati del proletariato nella lotta
contro i capitalisti e contro gli agrari. Anche i contadini medi e poveri delle
altre parti d'Italia acquistano una funzione rivoluzionaria, benché in modo più
lento.
Il
Vaticano - la cui funzione reazionaria è stata assunta dal fascismo - non
controlla più le popolazioni rurali in modo completo attraverso i preti, l'
"Azione Cattolica" e il Partito popolare. Vi è una parte dei
contadini, la quale è stata risvegliata alle lotte per la difesa dei suoi
interessi dalle stesse organizzazioni autorizzate e dirette dalle autorità
ecclesiastiche, ed ora, sotto la pressione economica e politica del fascismo,
accentua il proprio orientamento di classe e incomincia a sentire che le sue
sorti non sono separabili da quelle della classe operaia. Indizio di questa
tendenza è il fenomeno Miglioli. Un sintomo assai interessante di essa è anche
il fatto che le organizzazioni bianche, le quali, essendo una parte dell'
"Azione Cattolica", fanno capo direttamente al Vaticano, hanno dovuto
entrare nei comitati intersindacali con le Leghe rosse, espressioni di quel
periodo proletario che i cattolici indicavano fin dal 1870 come imminente alla
società italiana.
Quanto al
proletariato, l'attività disgregatrice delle sue forze trova un limite nella
resistenza attiva della avanguardia rivoluzionaria e in una resistenza passiva
della grande massa, la quale rimane fondamentalmente classista e accenna a
rimettersi in movimento non appena si rallenta la pressione fisica del fascismo
e si fanno più forti gli stimoli dell'interesse di classe. Il tentativo di
portare nel suo seno la scissione con i sindacati fascisti, si può considerare
fallito. I sindacati fascisti, mutando il loro programma, diventano ora
strumenti diretti di compressione reazionaria al servizio dello Stato.
18. Ai
pericolosi spostamenti e ai nuovi reclutamenti di forze che sono provocati dalla
sua politica il fascismo reagisce facendo gravare su tutta la società il peso
di una forza militare e un sistema di compressione il quale tiene la popolazione
inchiodata al fatto meccanico della produzione senza la possibilità di avere
una vita propria, di manifestare una propria volontà e di organizzarsi per la
difesa dei propri interessi. La cosiddetta legislazione fascista non ha altro
scopo che quello di consolidare e rendere permanente questo sistema.
La nuova
legge elettorale politica, le modificazioni dell'ordinamento amministrativo con
la introduzione del podestà per i comuni di campagna ecc. vorrebbero segnare la
fine della partecipazione delle masse alla vita politica ed amministrativa del
paese. Il controllo sulle associazioni impedisce ogni forma permanente
"legale" di organizzazione delle masse. La nuova politica sindacale
toglie alla Confederazione del lavoro e ai sindacati di classe la possibilità
di concludere dei concordati per escluderli dal contatto con le masse che si
erano organizzate attorno ad essi. La stampa proletaria viene soppressa. Il
partito di classe del proletariato ridotto alla vita pienamente illegale. Le
violenze fisiche e le persecuzioni di polizia sono adoperate sistematicamente,
soprattutto nelle campagne, per incutere il terrore e mantenere una situazione
da stato d'assedio.
Il
risultato di questa complessa attività di reazione e di compressione è lo
squilibrio tra il rapporto reale delle forze sociali e il rapporto delle forze
organizzate, per cui a un apparente ritorno alla normalità e alla stabilità
corrisponde una acutizzazione di contrasti pronti a prorompere ad ogni istante
per nuove vie.
18 bis. La
crisi seguita al delitto Matteotti ha fornito un esempio della possibilità che
l'apparente stabilità del regime fascista sia turbata dalle basi per il
prorompere improvviso di contrasti economici e politici approfonditisi senza che
fossero avvertiti. Essa ha in pari tempo fornito la prova della incapacità
della piccola borghesia a guidare ad un esito, nell'attuale periodo storico, la
lotta contro la reazione industriale-agraria.