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10-14
La
politica della borghesia italiana
10. Lo
scopo che le classi dirigenti italiane si proposero di raggiungere dalle origini
dello Stato unitario in poi, fu quello di tenere soggette le grandi masse della
popolazione lavoratrice, e impedire loro di diventare, organizzandosi intorno al
proletariato industriale e agricolo, una forza rivoluzionaria capace di attuare
un completo rivolgimento sociale e politico e dare vita a uno Stato proletario.
La debolezza intrinseca del capitalismo le costrinse però a porre come base
dell'ordinamento economico e dello Stato borghese una unità ottenuta per via di
compromessi tra gruppi non omogenei. In una vasta prospettiva storica questo
sistema si dimostra non adeguato allo scopo cui tende. Ogni forma di compromesso
fra i diversi gruppi dirigenti della società italiana si risolve infatti in un
ostacolo posto allo sviluppo dell'una o dell'altra parte della economia del
paese. Così vengono determinati nuovi contrasti e nuove reazioni della
maggioranza della popolazione, si rende necessario accentuare la pressione sopra
le masse e si produce una spinta sempre più decisiva alla mobilitazione di esse
per la rivolta contro lo Stato.
11. Il
primo periodo di vita dello Stato italiano (1870-1890) è quello della maggiore
debolezza. Le due parti di cui si compone la classe dirigente, gli intellettuali
borghesi da una parte e i capitalisti dall'altra, sono uniti nel proposito di
mantenere l'unità, ma divisi circa la forma da dare allo Stato unitario. Manca
tra di esse una omogeneità positiva. I problemi che lo Stato si propone sono
limitati; essi riguardano piuttosto la forma che la sostanza del dominio
politico della borghesia; sovrasta a tutti il problema del pareggio, che è un
problema di pura conservazione. La coscienza della necessità di allargare la
base delle classi che dirigono lo Stato si ha soltanto con gli inizi del
"trasformismo". La maggiore debolezza dello Stato è data in questo
periodo dal fatto che al di fuori di esso il Vaticano raccoglie attorno a sé un
blocco reazionario e antistatale costruito dagli agrari e dalla grande massa dei
contadini arretrati, controllati e diretti dai ricchi proprietari e dai preti.
Il programma del Vaticano consta di due parti: esso vuole lottare contro lo
Stato borghese unitario e "liberale" e in pari tempo si propone di
costituire, con i contadini, un esercito di riserva contro l'avanzata del
proletariato socialista, che sarà provocata dallo sviluppo della industria. Lo
Stato reagisce al sabotaggio che il Vaticano compie ai suoi danni e si ha tutta
una legislazione di contenuto e di scopi anticlericali.
12. Nel
periodo che corre dal 1890 al 1900 la borghesia si pone risolutamente il
problema di organizzare la propria dittatura e lo risolve con una serie di
provvedimenti di carattere politico ed economico da cui è determinata la
successiva storia italiana. Anzitutto si risolve il dissidio tra la borghesia
intellettuale e gli industriali: l'avvento al potere di Crispi ne è il segno.
La borghesia così rafforzata risolve la questione dei suoi rapporti con
l'estero (Triplice alleanza) acquistando una sicurezza che le permette dei
tentativi di piazzarsi nel campo della concorrenza internazionale per la
conquista dei mercati coloniali. All'interno la dittatura borghese si instaura
politicamente con una restrizione del diritto di voto che riduce il corpo
elettorale a poco più di un milione di elettori su 30 milioni di abitanti. Nel
campo economico l'introduzione del protezionismo industriale-agrario corrisponde
al proposito del capitalismo di acquistare il controllo di tutta la ricchezza
nazionale. Viene a mezzo di esso saldata una alleanza tra gli industriali e gli
agrari. Questa alleanza strappa al Vaticano una parte delle forze che esso aveva
raccolto attorno a sé, soprattutto tra i proprietari di terre del Mezzogiorno,
e le fa entrare nel quadro dello Stato borghese. Il Vaticano stesso avverte del
resto la necessità di dare maggiore rilievo alla parte del suo programma
reazionario che riguarda la resistenza al movimento operaio e prende posizione
contro il socialismo con l'enciclica Rerum Novarum. Al pericolo che il Vaticano
continua però a rappresentare per lo Stato le classi dirigenti reagiscono
dandosi una organizzazione unitaria con un programma anticlericale, nella
massoneria. I primi progressi reali del movimento operaio si hanno infatti in
questo periodo. L'instaurazione della dittatura industriale-agraria pone nei
suoi termini reali il problema della rivoluzione determinando i fattori storici
di essa. Sorge nel Nord un proletariato industriale e agricolo, mentre nel Sud
la popolazione agricola, sottoposta a un sistema di sfruttamento
"coloniale", deve essere tenuta soggetta con una compressione politica
sempre più forte. I termini della "questione meridionale" vengono
posti, in questo periodo, in modo netto. E spontaneamente, senza l'intervento di
un fattore cosciente e senza nemmeno che il Partito socialista tragga da questo
fatto una indicazione per la sua strategia di partito della classe operaia, si
verifica in questo periodo per la prima volta il confluire dei tentativi
insurrezionali del proletariato settentrionale, con una rivolta di contadini
meridionali (fasci siciliani).
13.
Spezzati i primi tentativi del proletariato e dei contadini di insorgere contro
lo Stato, la borghesia italiana consolidata può adottare, per ostacolare i
progressi del movimento operaio, i metodi esteriori della democrazia e quelli
della corruzione politica verso la parte più avanzata della popolazione
lavoratrice (aristocrazia operaia) per renderla complice della dittatura
reazionaria che essa continua ad esercitare, e impedirle di diventare il centro
insurrezionale popolare contro lo Stato (giolittismo). Si ha però, tra il 1900
e il 1910, una fase di concentrazione industriale ed agraria. Il proletariato
agricolo cresce del 50 per cento a danno delle categorie degli obbligati,
mezzadri e fittavoli. Di qui una ondata di movimenti agricoli, e un nuovo
orientamento dei contadini che costringe lo stesso Vaticano a reagire con la
fondazione dell' "Azione Cattolica" e con un movimento
"sociale" che giunge, nelle sue forme estreme, fino ad assumere le
parvenze di una riforma religiosa (modernismo). A questa reazione del Vaticano
per non lasciarsi sfuggire le masse corrisponde l'accordo dei cattolici con le
forze dirigenti per dare allo Stato una base più sicura (abolizione del non
exspedit, patto Gentiloni). Anche verso la fine di questo terzo periodo (1914) i
diversi movimenti parziali del proletariato e dei contadini culminano in un
nuovo inconscio tentativo di saldatura delle diverse forze di massa antistatali,
in una insurrezione contro lo Stato reazionario. Da questo tentativo viene già
posto con sufficiente rilievo il problema della necessità che il proletariato
organizzi, nel suo seno, un partito di classe che gli dia la capacità di porsi
a capo della insurrezione e di guidarla.
14. Il
massimo di concentrazione economica nel campo industriale si ha nel dopoguerra.
Il proletariato raggiunge il più alto grado di organizzazione e ad esso
corrisponde il massimo di disgregazione delle classi dirigenti dello Stato.
Tutte le contraddizioni insite nell'organismo sociale italiano affiorano con la
massima crudezza per il risveglio delle masse anche le più arretrate alla vita
politica provocato dalla guerra e dalle sue conseguenze immediate. E, come
sempre, l'avanzata degli operai dell'industria e dell'agricoltura si accompagna
a una agitazione profonda delle masse dei contadini, sia del Mezzogiorno che
delle altre regioni. I grandi scioperi e la occupazione delle fabbriche che si
svolgono contemporaneamente alla occupazione delle terre. La resistenza delle
forze reazionarie si esercita ancora secondo la direzione tradizionale. Il
Vaticano consente che accanto all' "Azione Cattolica" si formi un vero
e proprio partito, il quale si propone di inserire le masse contadine entro il
quadro dello Stato borghese apparentemente accontentando le loro aspirazioni di
redenzione economica e di democrazia politica. Le classi dirigenti a loro volta
attuano in grande stile il piano di corruzione e di disgregazione interna del
movimento operaio, facendo apparire ai capi opportunisti la possibilità che una
aristocrazia operaia collabori al governo in un tentativo di soluzione
"riformista" del problema dello Stato (governo di sinistra). Ma in un
paese povero e disunito come l'Italia, l'affacciarsi di una soluzione
"riformista" del problema dello Stato provoca inevitabilmente la
disgregazione della compagine statale e sociale, la quale non resiste all'urto
dei numerosi gruppi in cui le stesse classi dirigenti e le classi intermedie si
polverizzano. Ogni gruppo ha esigenze di protezione economica e di autonomia
politica sue proprie, e, nell'assenza di un omogeneo nucleo di classe che sappia
imporre, con la sua dittatura, una disciplina di lavoro e di produzione a tutto
il paese, sbaragliando ed eliminando gli sfruttatori capitalistici ed agrari, il
governo viene reso impossibile e la crisi del potere è continuamente aperta. La
sconfitta del proletariato rivoluzionario è dovuta, in questo periodo decisivo,
alle deficienze politiche, organizzative, tattiche e strategiche del partito dei
lavoratori. In conseguenza di queste deficienze il proletariato non riesce a
mettersi a capo della insurrezione della grande maggioranza della popolazione e
a farla sboccare nella creazione di uno Stato operaio; esso stesso subisce
invece l'influenza di altre classi sociali che ne paralizzano l'azione. La
vittoria del fascismo nel 1922 deve essere considerata quindi non come una
vittoria riportata sulla rivoluzione, ma come la conseguenza della sconfitta
toccata alle forze rivoluzionarie per loro intrinseco difetto.
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