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Cinque anni di vita del partito

Resoconto dei lavori del III Congresso

di Antonio Gramsci

"L'Unità", 24 febbraio 1926

   

[2]La portata dell'esperienza ungherese

 

In realtà l'impostazione data a questo problema dal nostro partito era falsa e andò sempre più manifestandosi come tale alle larghe masse del partito. Proprio l'esperienza ungherese avrebbe dovuto convincerci che la linea seguita dall'Internazionale nella formazione dei partiti comunisti non era quella che noi le attribuivamo. E' noto infatti che il compagno Lenin cercò di opporsi strenuamente alla fusione tra comunisti e socialdemocratici ungheresi, nonostante che questi ultimi si dichiarassero fautori della dittatura del proletariato. Si può dire perciò che il compagno Lenin fosse in generale contrario alle fusioni? Certamente no. Il problema era visto dal compagno Lenin e dall'Internazionale come un processo dialettico, attraverso il quale l'elemento comunista, cioè la parte più avanzata e cosciente del proletariato, si pone, sia nell'organizzazione del partito della classe operaia, sia nella funzione di direzione delle grandi masse, alla testa di tutto ciò che di onesto e attivo si è formato ed esiste nella classe. 

 

 

In Ungheria è stato un errore distruggere l'organizzazione indipendente comunista nel momento della presa del potere, per dissolvere e diluire il raggruppamento costituito nella più vasta ed amorfa organizzazione socialdemocratica che non poteva non riprendere predominio. Anche per l'Ungheria il compagno Lenin aveva formulato la linea del nostro vecchio partito come un'alleanza con la socialdemocrazia, non come una fusione. Alla fusione si sarebbe arrivati più tardi, quando il processo del predominio del raggruppamento comunista si fosse sviluppato sulla scala più larga nel campo dell'organizzazione di partito, dell'organizzazione sindacale e dell'apparato statale, e cioè con la separazione organica e politica degli operai rivoluzionari dai capi opportunisti. 

 

 

Per l'Italia il problema si poneva in termini ancora più semplici che in Ungheria, perché non solo il proletariato non aveva conquistato il potere, ma iniziava, proprio nel momento della formazione del partito, un grande movimento di ritirata. Porre in Italia la questione della formazione del partito, così com'era stato indicato dal compagno Lenin nella sua formula espressa a Serrati, significava - nell'arretramento del proletariato che si iniziava allora - dare la possibilità al nostro partito di raggruppare intorno a sé quegli elementi del proletariato che avrebbero dovuto resistere, ma che sotto la direzione massimalista erano travolti nella rotta generale e cadevano progressivamente nella passività. Ciò significava che la tattica suggerita da Lenin e dall'Internazionale era l'unica capace di rafforzare e sviluppare i risultati della scissione di Livorno e di fare veramente del nostro partito, fin d'allora, non solo in astratto e come affermazione storica, ma in forma effettiva, il partito dirigente della classe operaia. 

 

 

Per questa falsa impostazione del problema, noi ci siamo mantenuti sulle posizioni avanzate, da soli e con la frazione di masse immediatamente più vicina al partito, ma non abbiamo fatto quanto era necessario per mantenere sulle nostre posizioni il proletariato nel suo complesso, il quale tuttavia era ancora animato da un grande spirito di lotta, come è dimostrato da tanti episodi spesso eroici della resistenza opposta all'avanzata avversaria.

 

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