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Manifesto del Partito Comunista

Karl Marx  - Friedrich Engels

Prefazioni e indirizzo al lettore italiano 


(versione ipertestuale a c. PdCI-Cento, altro testo pubblicato in  http://www.filosofico.net/manifesto.htm)


Prefazioni e indirizzo al lettore italiano -  I. Il Manifesto del Partito Comunista - I. BORGHESI E PROLETARI - II. PROLETARI E COMUNISTI  - III. LETTERATURA SOCIALISTA E COMUNISTA - IV. POSIZIONE DEI COMUNISTI NEI CONFRONTI DEI DIVERSI PARTITI DI OPPOSIZIONE


Prefazioni e indirizzo al lettore italiano 

Prefazione all'edizione tedesca del 1872

La Lega dei comunisti, un'associazione internazionale di lavoratori, che a quell'epoca non poteva che essere segreta, incaricò i sottoscritti, nel corso del congresso tenuto a Londra nel novembre del 1847, di redigere un approfondito programma teorico e pratico del partito, rivolto all'opinione pubblica. Nacque così il seguente Manifesto, il cui manoscritto viaggiò verso Londra per essere stampato poche settimane prima della rivoluzione di febbraio2. Dapprima pubblicato in tedesco, è stato stampato in questa lingua in almeno dodici diverse edizioni in Germania, Inghilterra e America. In inglese è uscito per la prima volta nel 1850 a Londra, sul "Red Republican", tradotto da Helen Macfarlane, e nel 1871 in almeno tre diverse traduzioni in America. In francese è uscito dapprima a Parigi poco prima della insurrezione di giugno del 18483, poi di nuovo in "Le Socialiste" di New York. Si sta preparando una nuova traduzione. In polacco il Manifesto è apparso a Londra poco dopo la sua prima edizione tedesca. In russo, a Ginevra negli anni Sessanta. Anche in danese è stato tradotto poco dopo la sua pubblicazione.
Per quanto la situazione sia cambiata negli ultimi venticinque anni, i fondamenti generali sviluppati in questo Manifesto conservano grosso modo anche oggi la loro piena pregnanza. Qualcosa si potrebbe migliorare qua e là. L'applicazione pratica di tali fondamenti, afferma lo stesso Manifesto, dipenderà dovunque e sempre dalle condizioni storiche date. Non va dunque assolutamente conferito un peso particolare alle misure rivoluzionarie proposte alla fine della parte II. Oggi tale passo suonerebbe diversamente sotto molti aspetti. Questo programma è oggi parzialmente invecchiato rispetto all'immenso sviluppo della grande industria negli ultimi venticinque anni e al parallelo progresso dell'organizzazione di partito dei lavoratori, rispetto alle esperienze pratiche, dapprima della rivoluzione di febbraio e molto più ancora della Comune di Parigi, quando, per due mesi, il proletariato ha esercitato per la prima volta il potere politico. In particolare, la Comune ha dimostrato che "la classe operaia non può semplicemente prendere possesso dell'apparato statale così com'è e metterlo al servizio dei propri fini" (si veda La guerra civile in Francia. Indirizzo del Consiglio generale dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori, edizione tedesca, p. 19, dove tale concetto è ulteriormente sviluppato). È poi ovvio che la critica della letteratura socialista è oggi lacunosa, giacché arriva solo al 1847; così anche le osservazioni sulla posizione dei comunisti rispetto ai vari partiti di opposizione (parte IV), seppure tuttora valide nelle linee generali, sono però invecchiate nella loro esposizione, se non altro perché la situazione politica è totalmente cambiata e lo sviluppo storico ha eliminato la maggior parte dei partiti colà citati.
Il Manifesto è tuttavia un documento storico che noi non abbiamo più il diritto di modificare. Una successiva edizione potrà forse uscire con un'introduzione che colmi la distanza che ci separa dal 1847; questa ristampa è giunta per noi troppo inattesa per lasciarcene il tempo.

Londra, 24 giugno 1872
Karl Marx, Friedrich Engels


Prefazione all'edizione tedesca del 1883

La prefazione alla presente edizione devo purtroppo firmarla da solo. Marx - l'uomo cui l'intera classe operaia d'Europa e d'America deve più che a chiunque altro - Marx riposa nel cimitero di Highgate, e sulla sua tomba cresce già la prima erba4. Dopo la sua morte non ha più alcun senso parlare di una rielaborazione o di un completamento del Manifesto. Tanto più necessario considero stabilire nuovamente ciò che segue.
Il pensiero di fondo che ricorre nel Manifesto - che la produzione economica e l'articolazione sociale che ne consegue necessariamente in ogni epoca costituisce il fondamento della storia politica e intellettuale di tale epoca; che quindi (dopo l'abolizione dell'arcaica proprietà comune della terra) tutta la storia è stata una storia di lotte di classe, lotte fra sfruttati e sfruttatori, classi oppresse e oppressive nei diversi stadi dello sviluppo sociale; che però oggi questa lotta ha raggiunto uno stadio in cui la classe sfruttata e oppressa (il proletariato) non si può più liberare dalla classe che la sfrutta e opprime (la borghesia) senza insieme liberare per sempre l'intera società da sfruttamento, oppressione e lotte di classe - questo pensiero di fondo appartiene solo e unicamente a Marx5.
L'ho già affermato molte volte; tanto più oggi però conviene che questa affermazione stia qui come premessa al Manifesto stesso.

Londra, 28 giugno 1883
Friedrich Engels


Prefazione all'edizione inglese del 1888

Il Manifesto venne pubblicato come piattaforma programmatica della "Lega dei comunisti", associazione di lavoratori dapprima esclusivamente tedesca, poi internazionale, e - date le condizioni politiche del Continente prima del 1848 - società inevitabilmente segreta. Nel corso di un congresso della Lega tenutosi a Londra nel novembre 1847, Marx ed Engels vennero incaricati di preparare per la pubblicazione un completo programma teorico e pratico di partito. Redatto in tedesco nel gennaio 1848, il manoscritto fu spedito in tipografia a Londra alcune settimane prima della rivoluzione francese del 24 febbraio. Una traduzione francese fu pubblicata a Parigi poco prima dell'insurrezione del giugno 1848, mentre la prima traduzione inglese, a opera di Helen Macfarlane, apparve a Londra sul "Red Republican" di George Julian Harney, nel 1850. Vennero pubblicate anche un'edizione danese e una polacca.
La sconfitta dell'insurrezione parigina del giugno 1848 - la prima grande battaglia tra proletariato e borghesia - spinse da capo in secondo piano, per un certo tempo, le aspirazioni sociali e politiche della classe operaia europea. Da allora in poi la lotta per la supremazia fu di nuovo, come lo era stata prima della rivoluzione di febbraio, soltanto tra gruppi diversi della classe possidente; la classe operaia fu costretta a battagliare per la propria libertà di manovra, e a ricoprire la posizione di ala estrema dei radicali del ceto medio. Ovunque i movimenti proletari indipendenti continuassero a manifestare segni di vita, essi venivano inesorabilmente perseguitati. Così la polizia prussiana scovò il comitato centrale della Lega comunista, stabilitasi allora a Colonia: i membri vennero arrestati e, dopo diciotto mesi di prigione, processati nell'ottobre del 1852. Questo famoso "processo comunista di Colonia" si protrasse dal 4 ottobre fino 12 novembre; a sette prigionieri furono comminate pene dai tre ai sei anni. Subito dopo la sentenza la Lega venne formalmente sciolta dai restanti membri. Per quanto riguarda il Manifesto, sembrava da allora in poi condannato all'oblio.
Allorché la classe operaia europea recuperò forza sufficiente per un altro attacco contro le classi dominanti, sorse l'Associazione Internazionale dei Lavoratori7. Tale associazione però, formata con lo scopo dichiarato di saldare in un unico corpo l'intero proletariato militante di Europa e America, non poté immediatamente proclamare i princìpi formulati nel Manifesto. L'Internazionale era tenuta a redigere un programma sufficientemente ampio da poter essere accettato dalle Trade Unions inglesi, dai seguaci di Proudhon in Francia, Belgio, Italia e Spagna, e dai lassalliani8 in Germania. Marx, che stese tale programma per la soddisfazione di tutti i partiti, confidava interamente nello sviluppo intellettuale della classe operaia, che doveva di sicuro risultare dall'azione congiunta e dalla reciproca discussione. Gli stessi eventi e vicissitudini della lotta contro il Capitale, le sconfitte ancor più delle vittorie, non potevano fare a meno di persuadere gli uomini dell'insufficienza dei loro vari toccasana prediletti, e di preparare la strada per una più completa comprensione delle effettive condizioni atte a favorire l'emancipazione della classe operaia. E Marx aveva ragione. I lavoratori lasciati dall'Internazionale al suo scioglimento nel 1874 erano uomini alquanto differenti da quelli che essa aveva trovato nel 1864. Il proudhonismo in Francia, il lassallismo in Germania stavano scomparendo, e persino le conservatrici Trade Unions inglesi, sebbene molte di loro avessero da tempo troncato la loro relazione con l'Internazionale, stavano avanzando gradualmente verso il punto in cui, lo scorso anno a Swansea, il loro presidente poteva affermare nel loro nome "Il socialismo continentale non è più uno spauracchio per noi". In effetti i princìpi del Manifesto avevano registrato considerevoli progressi tra i lavoratori di tutti i paesi.
Lo stesso Manifesto tornò alla ribalta. Dal 1850 il testo tedesco è stato ristampato parecchie volte in Svizzera, Inghilterra e America. Nel 1872 è stato tradotto in inglese a New York e pubblicato sul "Woodhull and Claflin's Weekly". Da questa versione inglese ne è stata tratta una francese sul "Le Socialiste" di New York. Da allora almeno due altre traduzioni inglesi, più o meno mutilate, sono state date alle stampe in America, e una di esse è stata ristampata in Inghilterra. La prima traduzione russa, eseguita da Bakunin10, è stata pubblicata nella tipografia del "Kolokol"11 di Herzen a Ginevra intorno al 1863; una seconda, ad opera dell'eroica Vera Zasuli(12, ancora a Ginevra, nel 1882. Una nuova edizione danese si trova sulla "Socialdemokratisk Bibliothek", Copenhagen 1885; una nuova traduzione francese sul "Le Socialiste", Parigi 1885. Da quest'ultima è stata preparata una versione spagnola, pubblicata a Madrid nel 1886. Non si possono contare le ristampe tedesche: ce ne sono state almeno dodici. Una traduzione armena, che doveva essere pubblicata a Costantinopoli alcuni mesi fa, non ha visto la luce - mi si dice - perché l'editore ha avuto paura di far uscire un libro con sopra il nome di Marx, e il traduttore si è rifiutato di farla apparire come una propria opera. Ho sentito di ulteriori traduzioni in altre lingue, ma non le ho vedute. La storia del Manifesto riflette così, in larga misura, la storia del movimento della moderna classe operaia; al momento è senza dubbio il prodotto più diffuso e più internazionale di tutta la letteratura socialista, la piattaforma comune riconosciuta da milioni di lavoratori dalla Siberia alla California.
Eppure, quando fu scritto, non avremmo potuto chiamarlo un "Manifesto socialista". Nel 1847 con "socialisti" si intendevano, da un lato, i seguaci dei vari sistemi utopici - gli owenisti in Inghilterra, i fourieristi in Francia, gli uni e gli altri già ridotti al rango di mere sette, e sulla via di una graduale estinzione -; dall'altro lato, i più svariati ciarlatani sociali che, con ogni sorta di rabberciamenti, dichiaravano di riparare, senza alcun pericolo per il capitale e per il profitto, ogni genere di ingiustizia sociale. In entrambi i casi si trattava di uomini esterni al movimento dei lavoratori, e che contavano anzi sull'appoggio delle classi "colte". Qualunque porzione della classe operaia si fosse convinta dell'insufficienza delle mere rivoluzioni politiche e proclamasse la necessità di un cambiamento sociale totale, era quella che si dichiarava "comunista". Era un tipo di comunismo appena abbozzato, grossolano, puramente istintivo; ciò nonostante toccava il punto cardinale ed era sufficientemente potente tra la classe operaia da produrre il comunismo utopistico, in Francia, di Cabet13, e di Weitling14 in Germania. Nel 1847 il socialismo era perciò un movimento della classe media15, mentre il comunismo un movimento della classe operaia. Il socialismo era, almeno nel Continente, "rispettabile"; il comunismo era l'esatto opposto. E poiché il nostro punto di vista, sin dall'inizio, era che "l'emancipazione della classe operaia deve essere un atto della classe operaia stessa", non ci poteva essere alcun dubbio su quale dei due nomi dovevamo assumere. Oltre a ciò, da allora ci siamo ben guardati dal ripudiarlo.
Sebbene il Manifesto sia un nostro comune prodotto, ci tengo a dichiarare che l'idea fondamentale, che forma il suo nucleo, appartiene a Marx. L'idea è che in ogni epoca storica il modo prevalente di produzione e scambio economici, e l'organizzazione sociale che necessariamente ne scaturisce, forma la base su cui viene edificata, e da cui soltanto può essere spiegata, la storia politica e intellettuale di quell'epoca; che di conseguenza l'intera storia dell'umanità (dalla dissoluzione della società tribale primitiva, caratterizzata dal possesso comune delle terre) è stata una storia di lotte di classe, di conflitti tra classi sfruttatrici e sfruttate, dominanti e oppresse; che la storia di tali lotte di classe forma una serie evolutiva in cui, al giorno d'oggi, si è raggiunto uno stadio dove la classe sfruttata e oppressa - il proletariato - non può conseguire la propria emancipazione dal dominio della classe sfruttatrice e dominante - la borghesia - senza, allo stesso tempo, e una volta per tutte, emancipare la società nel suo insieme da qualsiasi sfruttamento, oppressione, distinzioni di classe e lotte di classe.
A questa idea che, è mia opinione, è destinata a rappresentare per la storia ciò che la teoria di Darwin ha rappresentato per la biologia, ci eravamo gradualmente avvicinati, tutt'e due, alcuni anni prima del 1845. La misura in cui mi ci ero avvicinato io in maniera indipendente lo mostra nel modo migliore il mio scritto La condizione della classe operaia in Inghilterra16. Ma quando rividi Marx a Bruxelles nella primavera del 1845, egli l'aveva compiutamente elaborata, e me l'aveva esposta, in termini quasi altrettanto chiari di quelli che io ho usato qui.
Dalla nostra comune Prefazione all'edizione tedesca del 1872 riprendo quanto segue:
[...]
La presente traduzione è dovuta a Samuel Moore, il traduttore della maggior parte del Capitale di Marx. L'abbiamo rivista insieme, e ho aggiunto alcune note esplicative di carattere storico.

Londra, 30 gennaio 1888
Friedrich Engels



Al lettore italiano

Si può dire che la pubblicazione del Manifesto del Partito Comunista coincise esattamente con il 18 marzo 1848, con le rivoluzioni di Milano e di Berlino, che rappresentarono la sollevazione delle due nazioni situate al centro, l'una del continente europeo, l'altra del Mare Mediterraneo; due nazioni fino a quel momento indebolite dalla frammentazione territoriale e dalle diatribe interne, e di fatto assoggettate al dominio straniero. Mentre l'Italia era soggetta all'imperatore d'Austria, la Germania doveva sopportare, pur se non altrettanto direttamente, il non meno efficace giogo dello zar di tutte le Russie. Il risultato del 18 marzo 1848 fu di liberare Italia e Germania da tale oltraggio; se tra il 1848 e il 1871 queste due grandi nazioni furono ricostruite e in un certo senso restituite a se stesse, ciò accadde, come disse Marx, perché gli stessi uomini che avevano represso la rivoluzione del 1848 ne divennero poi gli involontari esecutori testamentari.
Questa rivoluzione fu fatta dovunque dalla classe operaia; fu la classe operaia a erigere le barricate e a rischiare la vita. Solo gli operai di Parigi avevano l'intento esplicito di abbattere il dominio della borghesia, quando fecero cadere il governo. Ma per quanto fossero anche coscienti dell'ineluttabile antagonismo fra la loro classe e la borghesia, né lo sviluppo economico del paese né lo sviluppo della coscienza delle masse operaie francesi avevano raggiunto quella misura che avrebbe permesso una ricostruzione della società. I frutti della rivoluzione furono quindi in ultima analisi raccolti dalla classe capitalistica. Negli altri paesi, in Italia, in Germania, in Austria, i lavoratori non fecero in fondo altro che portare la borghesia al potere. Ma in nessun paese il dominio della borghesia è possibile senza l'indipendenza nazionale. Sicché la rivoluzione del 1848 doveva comportare l'unità e l'indipendenza di quelle nazioni in cui era scoppiata: Italia, Germania, Ungheria; la Polonia seguirà a suo tempo.
Se dunque la rivoluzione del 1848 non fu una rivoluzione socialista, nondimeno essa le aprì la strada e le preparò il terreno. Grazie all'impulso che il regime borghese ha dato in tutti i paesi alla grande industria, in questi ultimi 45 anni esso ha creato dovunque un proletariato numeroso, coeso e forte; in tal modo il regime borghese, per usare un'espressione del Manifesto, ha prodotto i suoi stessi becchini. Senza la ricostituzione dell'indipendenza e dell'unità di ogni nazione non si sarebbe potuta compiere né l'unificazione internazionale del proletariato né la pacifica, intelligente collaborazione di queste nazioni per raggiungere obiettivi comuni. Si provi solo a immaginare una comune iniziativa internazionale dei lavoratori italiani, ungheresi, tedeschi, polacchi, russi nelle condizioni politiche di prima del 1848!
Sicché le battaglie del 1848 non furono inutili; e anche i 45 anni che ci separano da quella tappa rivoluzionaria non sono trascorsi vanamente. I frutti maturano, e tutto ciò che mi auguro è che la pubblicazione di questa traduzione italiana sia un buon viatico per la vittoria del proletariato italiano, così come la pubblicazione dell'originale lo è stata per la rivoluzione internazionale.
Il Manifesto riconosce appieno il ruolo rivoluzionario giocato nel passato dal capitalismo. La prima nazione capitalistica è stata l'Italia. La conclusione del Medioevo feudale e l'inizio della moderna era capitalistica sono segnate da una figura grandiosa : è un italiano, Dante, l'ultimo poeta medievale e insieme il primo poeta della modernità. Come nel 1300, una nuova era è oggi in marcia. Sarà l'Italia a darci un nuovo Dante, che annuncerà la nascita di questa nuova era, l'era proletaria?

Londra, 1° febbraio 1893
Friedrich Engels

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