di Antonio Gramsci
numero unico - febbraio 1917
a cura della Federazione giovanile piemontese del Partito Socialista.
[ http://www.antoniogramsci.com/cittafutura.htm
]
[Gramsci curò per intero la stesura, del giornale, che aveva
lo scopo di "educare e formare" i giovani socialisti
SOMMARIO
"LA CITTÀ
FUTURA" [UN NUMERO UNICO DEI GIOVANI (da il Grido del Popolo e L'Avanti!)]
TRE
PRINCIPII, TRE ORDINI
INDIFFERENTI
DISCIPLINA
E LIBERTA'
ANALFABETISMO
LA
DISCIPLINA
DUE INVITI
ALLA MEDITAZIONE
MARGINI
MODELLO E
REALTÀ
IL
MOVIMENTO GIOVANILE SOCIALISTA
["LA
CITTA FUTURA"]
"LA
CITTÀ FUTURA"
Con
questo titolo uscirà fra qualche giorno un numero unico, pubblicato a cura
della Federazione giovanile piemontese (1). dedicato appunto ai giovani.
Vorrebbe essere un invito e un incitamento. L'avvenire è dei giovani. La storia
è dei giovani (2). Ma dei giovani che, pensosi del compito che la vita impone a
ciascuno, si preoccupano di armarsi adeguatamente per risolverlo nel modo che più
si confà alle loro intime convinzioni, si preoccupano di crearsi quell'ambiente
in cui la loro energia, la loro intelligenza, la loro attività trovino il
massimo svolgimento, la più perfetta e fruttuosa affermazione. La guerra ha
falciato i giovani, ha specialmente tolto alle loro fatiche, alle loro
battaglie, ai loro sogni splendidi di utopia, che non era poi tale perché
diventata stimolo di azione e di realizzazione, i giovani. Ma l'organizzazione
giovanile socialista non ne ha in verità troppo sofferto in sé e per sé. Le
migliaia di giovani strappati alle sue lotte, sono stati sostituiti subito. Il
fatto della guerra ha scosso come una ventata gli indifferenti, i giovani che
fino a ieri si infischiavano di tutto ciò che era solidarietà e disciplina
politica. Ma non basta, non basterà mai. Occorre ingrossare sempre più le file
e serrarle. L'organizzazione ha specialmente fine educativo e formativo. E' la
preparazione alla vita più intensa e piena di responsabilità del partito. Ma
ne è anche l'avanguardia, l'audacia piena di ardore. I giovani sono come i
veliti leggeri e animosi dell'armata proletaria che muove all'assalto della
vecchia città infracidita e traballante per far sorgere dalle sue rovine la
propria città.
Nel
numero unico saranno discussi alcuni importanti problemi della propaganda e
della vita socialista. Esso sarà posto in vendita a due soldi la copia. Si
manderà a chiunque ne faccia richiesta con una cartolina doppia. I circoli e i
rivenditori che ne desiderassero un certo numero di copie rivolgano le loro
richieste alla Federazione giovanile socialista in Corso Siccardi, I2 Torino.
"Il
Grido del Popolo", n. 655, 11 febbraio I9I7, e "Avanti!", anno
XXI , n.43, 12 febbraio 1917, cronache torinesi, con il titolo Un numero unico
dei giovani, e il sommario de "LA Città futura".
Note:
(1)
L'uscita del numero unico di Propaganda "La Città futura" era
stata decisa dal comitato regionale piemontese della Federazione giovanile
socialista, che affidò l'incarico di curare la pubblicazione al giovane Andrea
Viglongo. Fu Gramsci a chiedere a Viglongo di essere incaricato solo lui della
compilazione, la quale sarebbe così risultata omogenea e coerente al programma
formativo propostosi, La richiesta di Gramsci venne accettata (cfr. A. Viglongo,
La redazione dell'Ordine Nuovo, in I comunisti a Torino 1919-1972. Lezioni e
testimonianze, prefazione di Gian Carlo Pajetta, Editori Riuniti, Roma 1974, P.
34). "La Città futura" fu interamente curata e scritta da Gramsci,
che vi inserì stralci da testi di Gaetano Salvemini (Cosa è la cultura),
Benedetto Croce (La religione) e Armando Carlini (Che cos'è la vita), Del
numero unico l'editore Andrea Viglongo curò nel giugno 1952 la riproduzione
fotografica in un numero limitato di copie.
Per un
richiamo diretto da parte di Gramsci alla "Città futura", si veda la
sua polemica con Giuseppe Bianchi nell'" Ordine nuovo", anno I, n. 16,
30 agosto 1919 (ON, 453-54). Sull'importanza da lui attribuita al numero unico
si può ricordare la testimonianza di G. Germanetto (in Memorie di un barbiere,
Mosca 1956, p. 67), che narra di un ritorno in treno insieme con Gramsci dal
convegno clandestino di Firenze del 18-I 9 novembre 19I7: " ... mi parla a
lungo di un giornale di coltura operaia, "La Città futura', numero unico,
che apparve in quell'epoca come saggio del suo pensiero".
(2)
A questo punto nel testo ripubblicato nell'"Avanti!" del 12
febbraio 1917, cronache torinesi, si legge il brano seguente: " La
Federazione si preoccupa di allargare per quanto è possibile il campo della sua
attività, di propagare in un sempre maggior numero di giovani le verità della
fede socialista. Ha fatto redigere questo numero appunto per poter dimostrate
come la sua attività non abbia per il fatto della guerra perduto alcunché
dell'ardore di due anni fa".
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TRE
PRINCIPII, TRE ORDINI
L'ordine e
il disordine sono le due parole che più frequentemente ricorrono nelle
polemiche di carattere politico. Partiti dell'ordine, uomini dell'ordine, ordine
pubblico... Tre parole avvicinate ad un cardine unico: l'ordine, sul quale le
parole si basano e girano con maggiore o minore aderenza a seconda della
concreta forma storica che gli uomini, i partiti e lo stato assumono nella
molteplice possibile loro incarnazione. La parola ordine ha un potere
taumaturgico; la conservazione degli istituti politici è affidata in gran parte
a questo potere. L'ordine presente si presenta come qualcosa di armonicamente
coordinato, di stabilmente coordinato; e la moltitudine dei cittadini esita e si
spaura nell'incertezza di ciò che un cambiamento radicale potrebbe apportare.
Il senso comune, il balordissimo senso comune, predica al solito che è meglio
un uovo oggi che una gallina domani. E il senso comune è un terribile negriero
degli spiriti. Tanto più quando per aver la gallina bisogna rompere il guscio
dell'uovo. Si forma nella fantasia l'immagine di qualcosa di lacerato
violentemente; non si vede l'ordine nuovo possibile, meglio organizzato del
vecchio, più vitale del vecchio, perché al dualismo contrappone l'unità,
all'immobilità statica dell'inerzia la dinamica della vita semoventesi. Si vede
solo la lacerazione violenta, e l'animo pavido arretra nella paura di tutto
perdere, di aver dinanzi a sé il caos, il disordine ineluttabile. Le profezie
utopistiche erano costituite appunto in vista di questa paura. Si voleva, con
l'utopia, prospettare un assetto nel futuro che fosse ben coordinato, ben
lisciato, e togliesse l'impressione del salto nel buio. Ma le costruzioni
sociali utopistiche sono crollate tutte, perché essendo appunto così lisciate
e assettatuzze, bastava dimostrarne infondato un particolare, per farle crollare
nella loro totalità. Non avevano base queste costruzioni, perché troppo
analitiche, perché fondate su un'infinità di fatti, e non su un unico
principio morale. Ora i fatti concreti dipendono da tante cause, che finiscono
per non aver più causa, e per essere imprevedibili. E l'uomo ha bisogno, per
operare, di poter almeno in parte prevedere (1). Non si concepisce volontà che
non sia concreta, che cioè non abbia uno scopo. Non si concepisce volontà
collettiva che non abbia uno scopo universale concreto. Ma questo non può
essere un fatto singolo, o una serie di fatti singoli. Può essere solo un'idea,
o un principio morale. Il difetto organico delle utopie è tutto qui. Credere
che la previsione possa essere previsione di fatti, mentre essa può solo
esserlo di principi, o di massime giuridiche. Le massime giuridiche (il diritto,
il giure è la morale attuata) sono creazione degli uomini come volontà. Se
volete dare a queste volontà una certa direzione, ponete loro come scopo ciò
che solo può esserlo: altrimenti, dopo un primo entusiasmo, le vedrete
abbiosciarsi e dileguare.
Gli ordini
attuali sono stati suscitati per la volontà di attuare totalmente un principio
giuridico. I rivoluzionari dell'89 non prevedevano l'ordine capitalistico.
Volevano attuare i diritti dell'uomo, volevano che fossero riconosciuti ai
componenti la collettività determinati diritti. Questi, dopo la lacerazione
iniziale del vecchio guscio, andarono affermandosi, andarono concretandosi e,
divenuti forze operose sui fatti, li plasmarono, li caratterizzarono e ne sbocciò
la civiltà borghese, l'unica che potesse sbocciarne, perché la borghesia era
l'unica energia sociale fattiva e realmente operante nella storia. Gli utopisti
furono sconfitti anche allora, perché nessuna delle loro particolari previsioni
si realizzò. Ma si realizzò il principio, e da questo fiorirono gli
ordinamenti attuali, l'ordine attuale.
Era un
principio universale quello affermatosi nella storia attraverso la rivoluzione
borghese? Certamente si. Eppure si è soliti dire che se J.-J. Rousseau potesse
vedere quale foce hanno avuto le sue predicazioni, probabilmente le
rinnegherebbe. In questa affermazione paradossale è contenuta una critica
implicita del liberalismo. Ma essa è paradossale, cioè afferma in modo
ingiusto una cosa giusta. Universale non vuol dire assoluto. Nella storia niente
vi è di assoluto e di rigido. Le affermazioni del liberalismo sono delle
idee-limiti che, riconosciute razionalmente necessarie, sono diventate
idee-forze (2),si sono realizzate nello stato borghese, hanno servito a
suscitare a questo stato un'antitesi nel proletariato, e si sono logorate.
Universali per la borghesia, non lo sono abbastanza per il proletariato. Per la
borghesia erano idee-limiti, per il proletariato sono idee-minimi. E infatti il
programma liberale integrale è diventato il programma minimo del partito
socialista. Il programma cioè che ci serve a vivere giorno per giorno, in
attesa che si giudichi giunto l'istante più utile [... 1 '.] (mancano alcune
parole censurate)
Come
idea-limite il programma liberale crea lo stato etico, uno stato cioè che
idealmente sta al disopra delle competizioni di classe, del vario intrecciarsi
ed urtarsi degli aggruppamenti che ne sono la realtà economica e tradizionale.
E' un'aspirazione politica questo stato, più che una realtà politica; esiste
solo come modello utopistico, ma è appunto questo suo essere un miraggio che lo
irrobustisce e ne fa una forza di conservazione. Nella speranza che finalmente
esso si realizzi nella sua compiuta perfezione, molti trovano la forza per non
rinnegarlo, e non cercare quindi di sostituirlo.
Vediamo
due di questi modelli, che sono tipici, che sono la pietra di paragone per i
dissertatori di teorie politiche. Lo stato inglese e lo stato germanico. Ambedue
divenuti a grande potenza, ambedue riusciti ad affermarsi, con direttive
diverse, come saldi organismi politici ed economici, ambedue aventi una sagoma
ben definita, che li pone di fronte ora, e che sempre li ha resi inconfondibili.
L'idea che
ha servito come motrice delle forze interne, parallele, per l'Inghilterra si può
riassumere nella parola: liberismo, per la Germania nelle parole: autorità con
la ragione.
Liberismo
è la formula che comprende tutta una storia di lotte, di movimenti
rivoluzionari per la conquista di singole libertà. E' la forma mentis venutasi
creando attraverso questi movimenti. E', la convinzione venutasi formando nel
sempre maggior numero di cittadini che vennero attraverso queste lotte a
partecipare all'attività pubblica, che nella libera manifestazione dei propri
convincimenti, nel libero esplicarsi delle forze produttive e legislative del
paese era il segreto della felicità. Della felicità, naturalmente, intesa nel
senso che di tutto ciò che succede di male, non possa andare la colpa a
singoli, e di tutto ciò che non riesce debba ricercarsi la ragione solo nel
fatto che gli iniziatori non possedevano ancora la forza per affermare
vittoriosamente il loro programma.
Per
l'Inghilterra il liberismo ha trovato, per citare un esempio, prima della
guerra, il suo propugnatore teoricopratico in Lloyd George, che, ministro di
stato, in un comizio pubblico, e sapendo che le sue parole acquistavano
significato di programma di governo, dice press'a poco agli operai: - Noi non
siamo socialisti, cioè non addiveniamo subito alla socializzazione della
produzione. Ma non abbiamo pregiudiziali teoriche contro il socialismo. A ognuno
il suo compito. Se la società attuale è ancora capitalista, ciò vuol dire che
il capitalismo è ancora una forza storicamente non esaurita. Voi socialisti
dite che il socialismo è maturo. Provatelo. Provate di essere la maggioranza,
provate di essere non solo potenzialmente, ma anche in atto, la forza capace di
reggere le sorti del paese. E noi vi lasceremo il posto pacificamente (3).
Parole che a noi, abituati a vedere nel governo qualcosa di sfingico, astratto
completamente dal paese e da ogni polemica viva su idee e fatti, sembrano
strabilianti. Ma che non lo sono, e non sono neppure retorica vuota, se si pensa
che è da più di 200 anni che in Inghilterra si combattono delle lotte
politiche nella piazza, e che il diritto alla libera affermazione di tutte le
energie è un diritto conquistato, e non un diritto naturale, che si presume
tale in sé e per sé. E basta ricordare che il governo radicale inglese tolse
alla Camera dei Lordi ogni diritto di voto (4) per poter far diventare realtà
l'autonomia irlandese, e che Lloyd George si proponeva prima della guerra di far
votare un progetto di legge agraria, per la quale, posto come assioma che chi
possiede mezzi di produzione e non li fa adeguatamente fruttare, decade dai suoi
diritti assoluti, molte delle proprietà private dei terrieri venivano loro
tolte e cedute a chi avrebbe potuto coltivarle. Questa forma di socialismo di
stato borghese, cioè socialismo non socialista, faceva si che anche il
proletariato non vedesse molto di cattivo occhio lo stato come governo, e
persuaso, a torto o a ragione, di essere tutelato, conducesse la lotta di classe
con discrezione e senza quell'esasperazione morale che caratterizza il movimento
operaio.
La
concezione dello stato germanico è agli antipodi di quella inglese, ma produce
gli stessi effetti. Lo stato tedesco è protezionista per forma mentis. Fichte
ha dato il codice dello stato chiuso. Cioè dello stato retto dalla ragione (5).
Dello stato che non deve essere lasciato in balia delle forze libere spontanee
degli uomini, ma deve in ogni cosa, in ogni atto imprimere il suggello di una
volontà, di un programma stabilito, preordinato dalla ragione. E perciò in
Germania il parlamento non ha quei poteri che ha altrove. E' semplice ente
consultivo, da mantenere solo perché razionalmente non si può ammettere
l'infallibilità dei poteri esecutivi, e anche dal parlamento, dalla discussione
può scoccare la verità. Ma la maggioranza non ha diritto riconosciuto alla
verità. Arbitro rimane il Ministero (l'Imperatore), che giudica e sceglie, e
non è sostituito che per volontà imperiale. Ma le classi hanno la convinzione,
non retorica, non supina, ma formatasi attraverso decenni di esperienze di retta
amministrazione, di osservata giustizia distributiva, che i loro diritti alla
vita sono tutelati e che la loro attività deve consistere nel cercare di
diventar maggioranza, per i socialisti, e di conservarsi maggioranza e
dimostrare continuamente la loro necessità storica, per i conservatori. Un
esempio: la votazione, approvata anche dai socialisti, del miliardo per maggiori
spese militari, avvenuta nel I9I3. La maggioranza dei socialisti votò a favore
perché il miliardo fu prelevato non dalla generalità dei contribuenti, ma con
una espropriazione (almeno apparente) dei grossi reddituari (6). Sembrò un
esperimento di socialismo di stato, sembrò che fosse giusto principio in sé
far pagare ai capitalisti le spese militari, e si votarono dei denari che
andavano a beneficio esclusivo della borghesia e del partito militare prussiano.
Questi due
tipi di ordine costituito sono il modello base dei partiti d'ordine d'Italia. I
liberali e i nazionalisti dicono (o dicevano) rispettivamente di volere che in
Italia si creasse qualcosa di simile allo stato inglese e allo stato germanico.
La polemica contro il socialismo è tutta tessuta sull'aspirazione di questo
stato etico potenziale in Italia. Ma in Italia è mancato completamente quel
periodo di svolgimento che ha reso possibile l'attuale Germania e Inghilterra.
Pertanto se portate alle ultime conseguenze i ragionamenti dei liberali e dei
nazionalisti italiani, ottenete come risultato nel presente questa formula: il
sacrifizio da parte del proletariato. Sacrifizio dei propri bisogni, sacrifizio
della propria personalità, della propria combattività per dare tempo al tempo,
per permettere che la ricchezza si moltiplichi, per permettere che
l'amministrazione si purifichi, (tre righe censurate). I nazionalisti e i
liberali non arrivano fino a sostenere che in Italia esista un ordine qualsiasi.
Sostengono che quest'ordine dovrà esistere, purché i socialisti non intralcino
la fatale sua instaurazione.
Questo
stato di fatto delle cose italiane è per noi fonte di maggiore energia e di
maggiore combattività. Se si pensa quanto sia difficile convincere a muoversi
un uomo che non abbia delle ragioni immediate per farlo, si comprende quanto sia
più difficile convincere una moltitudine negli stati dove non esiste, come in
Italia, da parte del governo, il partito preso di soffocarne le aspirazioni, di
taglieggiarne in tutti i modi la pazienza e la produttività. Nei paesi dove non
succedono i conflitti di piazza, dove non si vedono calpestate le leggi
fondamentali dello stato, né si vede l'arbitrio essere il dominatore, la lotta
di classe perde della sua asprezza, lo spirito rivoluzionario perde di slancio e
si abbioscia. La cosiddetta legge del minimo sforzo, che è la legge dei
poltroni, e vuol dire spesso non far niente, diventa popolare. In quei paesi la
rivoluzione è meno probabile. Dove esiste un ordine, è più difficile che ci
si decida a sostituirlo con un ordine nuovo (alcune parole censurate)
I
socialisti non devono sostituire ordine ad ordine. Devono instaurare l'ordine in
sé. La massima giuridica che essi vogliono realizzare è: possibilità di
attuazione integrale della propria personalità umana concessa a tutti i
cittadini. Con il concretarsi di questa massima cadono tutti i privilegi
costituiti. Essa porta al massimo della libertà col minimo della costrizione.
Vuole che regola della vita e delle attribuzioni sia la capacità e la
produttività, all'infuori di ogni schema tradizionale. Che la ricchezza non sia
strumento di schiavitù, ma essendo di tutti impersonalmente, dia a tutti i
mezzi per tutto il benessere possibile. Che la scuola educhi gli intelligenti da
chiunque nati, e non rappresenti il premio (quattro righe censurate)
Da questa
massima dipendono organicamente tutti gli altri principi del programma massimo
socialista. Esso, ripetiamo, non è utopia. E' universale concreto, può essere
attuato dalla volontà. E' principio d'ordine, dell'ordine socialistico. Di
quell'ordine che crediamo in Italia si attuerà prima che in tutti gli altri
paesi (cinque righe censurate)
"La
Città futura", numero unico pubblicato dalla Federazione giovanile
socialista piemontese, 11 febbraio I9I7, tipografia F. Mittone, via S. Agostino
7, Torino, formato cm 33 x 45, P. i. Raccolto in SG, 73-78,
(1) Sui
concetti di "modello" e di "legge", complementari di quello
di "previsione", qui indicato, cfr. più avanti Modello e realtà, pp.
29-30. Cfr. anche Q, III, 1557.
(2)
Concetto e termine del filosofo francese A. Fouillée; per Gramsci era
intervenuta la mediazione di Annibale Pastore, suo professore a Torino, di cui
vedi la dichiarazione riportata in Zucaro, Antonio Gramsci all'università di
Torino (I911-I9I5), in "Società", anno XIII, n. 6, dicembre I957, pp.
1109-10.
(3)
L'episodio risaliva al 1909. Il bilancio proposto dal cancelliere dello
Scacchiere Lloyd George intendeva colpire fortemente i grandi proprietari e i
monopoli. In appoggio alla sua politica egli aveva tenuto a Limehouse una serie
di discorsi pubblici.
(4) Così
nel testo in luogo di "veto" (per cui cfr. il successivo articolo Il
regime elettorale in Prussia, in "Il Grido del Popolo", 1 giugno 1918,
vol. III, Il nostro Marx).
(5) Cfr.
J. G. Fichte, Lo Stato secondo ragione o lo Stato commerciale chiuso. Saggio di
scienza del diritto e d'una politica del futuro, Bocca, Torino 1909.
(6) Per
ottenere il miliardo di marchi il governo germanico aveva introdotto nel 1913
un'imposta supplementare sul reddito del 10-I5 % in aggiunta all'imposta
ordinaria. In generale, l'imposta colpiva i grandi e i medi redditi, lasciando
esenti i piccoli.
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INDIFFERENTI
Odio gli
indifferenti. Credo come Federico Hebbel che "vivere vuol dire essere
partigiani" (1). Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla
città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare.
Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò
odio gli indifferenti.
L'indifferenza
è il peso morto della storia. E' la palla di piombo per il novatore, è la
materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la
palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde,
meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi
gli assalitori, e li decima e li scora e qualche volta li fa desistere
dall'impresa eroica.
L'indifferenza
opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. E' la fatalità;
e ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che
rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che si ribella
all'intelligenza e la strozza. Ciò che succede, il male che si abbatte su
tutti, il possibile bene che un atto eroico (di valore universale) può
generare, non è tanto dovuto all'iniziativa dei pochi che operano, quanto
all'indifferenza, all'assenteismo dei molti. Ciò che avviene, non avviene tanto
perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica
alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i nodi che poi solo la spada
potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che poi solo la rivolta farà
abrogare, lascia salire al potere gli uomini che poi solo un ammutinamento potrà
rovesciare. La fatalità che sembra dominare la storia non è altro appunto che
apparenza illusoria di questa indifferenza, di questo assenteismo. Dei fatti
maturano nell'ombra, poche mani, non sorvegliate da nessun controllo, tessono la
tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa. I
destini di un'epoca sono manipolati a seconda delle visioni ristrette, degli
scopi immediati, delle ambizioni e passioni personali di piccoli gruppi attivi,
e la massa degli uomini ignora, perché non se ne preoccupa. Ma i fatti che
hanno maturato vengono a sfociare; ma la tela tessuta nell'ombra arriva a
compimento: e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra
che la storia non sia che un enorme fenomeno naturale, un'eruzione, un
terremoto, del quale rimangono vittima tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto,
chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. E questo
ultimo si irrita, vorrebbe sottrarsi alle conseguenze, vorrebbe apparisse chiaro
che egli non ha voluto, che egli non è responsabile. Alcuni piagnucolano
pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se
avessi anch'io fatto il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia
volontà, il mio consiglio, sarebbe successo ciò che è successo? Ma nessuno o
pochi si fanno una colpa della loro indifferenza, del loro scetticismo, del non
aver dato il loro braccio e la loro attività a quei gruppi di cittadini che,
appunto per evitare quel tal male, combattevano, di procurare quel tal bene si
proponevano.
I più di
costoro, invece, ad avvenimenti compiuti, preferiscono parlare di fallimenti
ideali, di programmi definitivamente crollati e di altre simili piacevolezze.
Ricominciano così la loro assenza da ogni responsabilità. E non già che non
vedano chiaro nelle cose, e che qualche volta non siano capaci di prospettare
bellissime soluzioni dei problemi più urgenti, o di quelli che, pur richiedendo
ampia preparazione e tempo, sono tuttavia altrettanto urgenti. Ma queste
soluzioni rimangono bellissimamente infeconde, ma questo contributo alla vita
collettiva non è animato da alcuna luce morale; è prodotto di curiosità
intellettuale, non di pungente senso di una responsabilità storica che vuole
tutti attivi nella vita, che non ammette agnosticismi e indifferenze di nessun
genere.
Odio gli
indifferenti anche per ciò che mi dà noia il loro piagnisteo di eterni
innocenti. Domando conto ad ognuno di essi del come ha svolto il compito che la
vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e
specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di
non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.
Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze virili della mia parte già pulsare
l'attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la
catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al
caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c'èin essa
nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si
svenano nel sacrifizio; e colui che sta alla finestra, in agguato, voglia
usufruire del poco bene che l'attività di pochi procura e sfoghi la sua
delusione vituperando il sacrificato, lo svenato perché non è riuscito nel suo
intento.
Vivo, sono
partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.
"La
Città futura", pp. 1-2 Raccolto in SG, 78-80.
(1)
Cfr. Friedrich Hebbel, Diario, trad. e introduzione di Scipio Slataper,
Carabba, Lanciano 19I2 ("Cultura dell'anima"), p. 82: "Vivere
significa esser partigiani" (riflessione n. 2127). Questo stesso pensiero
di Hebbel era stato pubblicato nel numero del "Grido del Popolo" del
27 maggio 1916, insieme con le seguenti due "riflessioni" tratte dalla
medesima opera: " 1. Un prigioniero è un predicatore della libertà. 2.
Alla gioventù si rimprovera spesso di credere che il mondo cominci appena con
essa. Ma la vecchiaia crede anche più spesso che il mondo cessi con lei. Cos'è
peggio? "
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DISCIPLINA
E LIBERTA'
Associarsi
a un movimento vuol dire assumersi una parte della responsabilità degli
avvenimenti che si preparano, diventare di questi avvenimenti stessi gli
artefici diretti. Un giovane che si iscrive al movimento giovanile socialista
compie un atto di indipendenza e di liberazione. Disciplinarsi è rendersi
indipendenti e liberi. L'acqua è acqua pura e libera quando scorre fra le due
rive di un ruscello o di un fiume, non quando è sparsa caoticamente sul suolo,
o rarefatta si libra nell'atmosfera. Chi non segue una disciplina politica è
appunto materia allo stato gasoso, o materia bruttata da elementi estranei:
pertanto inutile e dannosa. La disciplina politica fa precipitare queste
lordure, e dà allo spirito il suo metallo migliore, alla vita uno scopo, senza
del quale la vita non varrebbe la pena di essere vissuta. Ogni giovane
proletario che sente quanto sia pesante il fardello della sua schiavitù di
classe, deve compiere l'atto iniziale della sua liberazione, iscrivendosi al
Fascio giovanile socialista più vicino a casa sua.
"La
Città futura", P. 2. Raccolto in SG, 82.
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ANALFABETISMO
Perché in
Italia ci sono ancora tanti analfabeti? (1). Perché in Italia c'è troppa gente
che limita la propria vita al campanile, alla famiglia. Non è sentito il
bisogno dell'apprendimento della lingua italiana, perché per la vita comunale e
famigliare basta il dialetto, perché la vita di relazione si esaurisce tutta
quanta nella conversazione in dialetto. L'alfabetismo non è un bisogno, e perciò
diventa un supplizio, un'imposizione di prepotenti. Per farlo diventare bisogno
occorrerebbe che la vita generale fosse più fervida, che essa investisse un
numero sempre maggiore di cittadini, e così facesse nascere autonomamente il
senso del bisogno, della necessità dell'alfabeto e della lingua. Ha più
giovato all'alfabetismo la propaganda socialista di tutte le leggi
sull'insegnamento obbligatorio (2). La legge è un'imposizione: può importi di
frequentare la scuola, non può obbligarti a imparare, e, quando abbia imparato,
a [non] dimenticare. La propaganda socialista desta subito il sentimento vivo
del non essere solo individui di una piccola cerchia d'interessi immediati (il
comune e la famiglia), ma i cittadini di un mondo più vasto, con gli altri
cittadini del quale bisogna scambiare idee, speranze, dolori. La coltura,
l'alfabeto ha così acquistato uno scopo, e fino a quando questo scopo vive
nelle coscienze, l'amore del sapere si affermerà imperioso. E' verità
sacrosanta, di cui i socialisti possono andar fieri: l'analfabetismo sparirà
completamente, solo quando il socialismo l'avrà fatto sparire, perché il
socialismo è l'unico ideale che può fare diventare cittadini, nel senso
migliore e totale della parola, tutti gli italiani che ora vivono solo dei loro
piccoli interessi personali, uomini nati solo a consumar vivande (3).
"La
Città futura", p. 2. Raccolto in SC, 81-82.
Note
(1) Nel
1917 in Italia gli analfabeti erano circa un terzo della popolazione di età
superiore ai nove anni.
(2) Per
una ripresa di questo spunto, cfr. più avanti Il socialismo e l'Italia, PP.
349-52.
(3) Cfr.
Orazio, Epistole I, 2, 27 (" nos numerus sumus et fruges consumere nati
").
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LA
DISCIPLINA
In una
delle Novelle della jungla Rudyard Kipling mostra in atto ciò che sia la
disciplina di un forte stato borghese (1). Tutti obbediscono nello stato
borghese. I muli della batteria al sergente di batteria, i cavalli ai soldati
che li cavalcano. I soldati al tenente, i tenenti ai colonnelli dei reggimenti;
i reggimenti a un generale di brigata; le brigate al viceré delle Indie. Il
viceré alla regina Vittoria (ancor viva quando Kipling scriveva). La regina dà
un ordine, e il viceré, i generali, i colonnelli, i tenenti, i soldati, gli
animali, tutti si muovono armonicamente e muovono alla conquista. A uno
spettatore indigeno di una parata militare il protagonista della novella dice:
"Poiché voi non sapete fare altrettanto, siete nostri sudditi". La
disciplina borghese è l'unica forza che mantenga saldo l'aggregato borghese.
Bisogna a disciplina contrapporre disciplina. Ma la disciplina borghese è cosa
meccanica ed autoritaria, la disciplina socialista è autonoma e spontanea. Chi
accetta la disciplina socialista vuol dire che è socialista o vuole diventarlo
più compiutamente, inscrivendosi al movimento giovanile se è un giovanotto. E
chi è socialista o vuole diventarlo non ubbidisce: comanda a se stesso, impone
una regola di vita ai suoi capricci, alle sue velleità incomposte. Sarebbe
strano che mentre troppo spesso si ubbidisce senza fiatare a una disciplina che
non si comprende e non si sente, non si riesca a operare secondo una linea di
condotta che noi stessi contribuiamo a tracciare e a mantenere rigidamente
coerente. Poiché è questo il carattere delle discipline autonome: essere la
vita stessa, il pensiero stesso di chi le osserva. La disciplina che lo stato
borghese impone ai cittadini fa di questi dei sudditi, che si illudono di
influire sullo svolgersi degli avvenimenti. La disciplina del partito socialista
fa del suddito un cittadino: cittadino ora ribelle, appunto perché avendo
acquistato coscienza della sua personalità, sente che questa è impastoiata e
non può liberamente affermarsi nel mondo (2).
"La
Città futura", p. 2. Raccolto in SG, So-81.
Note
(1) Si
riferiva alla novella Service de la reine, in Rudyard Kipling mières, Mercure
de , Le livre de la jungle, trad. di Louis Fabulet e Robert D'Humières, mercure
de France, Paris 1911, pp. 249-282, l'edizione verosimilmente conosciuta da
Gramsci (per un cenno cfr. L, 782-83).
(2) Gli
stessi concetti di questo articolo saranno ripresi e svolti nell'articolo di
Andrea Viglongo, Disciplina, nel "Grido del Popolo" del 2 febbraio
1918.
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DUE INVITI
ALLA MEDITAZIONE
Occorre
spesso ai giovani, nella discussione, di dover rispondere a delle obbiezioni che
si riferiscono ai problemi ultimi dell'esistenza. Gli avversari sanno che questi
problemi sono di quelli che fanno tremare le vene e i polsi anche al logico più
consumato. Appunto perciò li propongono, per tentare di confondere e di far
tacere anche laddove nella polemica essi rimarrebbero immancabilmente
schiacciati. Riproduciamo due brani in proposito. Il primo è di Benedetto Croce
(1), il più grande pensatore d'Europa in questo momento (2), ed è stato
pubblicato l'anno scorso nella rivista "La Critica" diretta dal Croce
stesso. Il secondo è di Armando Carlini (3), ed è un frammento del libretto
Avviamento allo studio della filosofia, che si consiglia vivamente di leggere e
di meditare (fa parte della collezione "Scuola e vita", editore
Battiato, e costa una lira). La difficoltà delle risposte che si possono dare a
certe domande, non autorizza nessuno a porle per creare il turbamento negli
spiriti; [...](4). Ai giovani consigliamo la meditazione. Ogni domanda può
avere la sua risposta. Basta perciò riflettere. Nella discussione ci si deve
trincerare in questi casi dietro la difficoltà che a rispondere a certe domande
hanno sentito anche i grandi pensatori. Se si volesse far supporre di poter
rispondere vittoriosamente a ogni obbiezione, si sarebbe semplicemente dei
vanitosi vuoti e insulsi.
"La
Città futura", P. 3. Raccolto in Scritti 1915-I921, appendice, 294.
Note
(1) Il
brano di Benedetto Croce era tratto dallo scritto Religione e serenità, in
"La Critica", anno XIII, fasc. 2, 20 marzo 1915, PP. 153-55, ora in
Etica e politica, Laterza, Bari 1945, pp. 23-25. Per le conseguenze tratte da
Gramsci dalla lettura del brano in questione è da ricordare una breve nota non
firmata, ma a lui attribuibile, apparsa nel "Grido del Popolo" del 5
gennaio 1918: "Nessuna cosa può essere sostituita se i novatori non hanno
a loro disposizione qualche cosa di sostituibile. La religione è una necessità.
Non è un errore. Rappresenta la forma primordiale e istintiva dei bisogni
metafisici dell'uomo. I socialisti devono sostituire la religione con la
filosofia. Quindi devono avere una filosofia". Lo scritto di Croce sarà
ripubblicato col titolo La vanità della religione e una nuova presentazione
redazionale, in "L'Ordine Nuovo", anno II, n. 10, 17 luglio I920, ora
in La cultura italiana del '900 attraverso le riviste, vol. VI: L'Ordine Nuovo
(1919-1920), a cura di Paolo Spriano, Einaudi, Torino 1963, PP. 546-48. Cfr.
anche Q, II, 1217 e I233, e L, 466.
(2)
Identico giudizio sul filosofo italiano (il "più grande pensatore dei
nostri tempi Benedetto Croce") era stato espresso da Georges Sorel a
conclusione del suo articolo Il destino dell'Austria apparso nell'" Avanti!
" del 16 maggio I9I5.
(3) Il
brano del gentiliano Carlini era tratto dall'opuscolo Avviamento allo studio
della filosofia, seguito da una piccola guida bibliografica per i giovani
studiosi di filosofia e pedagogia, Battiato, Catania I9I4 ("Scuola e
vita"), pp. 81-86; brano ripubblicato in "L'Ordine Nuovo", anno
II, n. I5, 4 settembre I920. Oltre ai brani di Croce e di Carlini, figurava
nella "Città futura" un testo di Salvemini dal titolo Cosa è la
cultura. Il testo - precisava Gramsci - è tratto "dal volumetto Cultura e
laicità di Gaetano Salvemini, pubblicato nella collana "Scuola e
vita" dell'editore Battiato (Catania '9I4). Volumetto che tutti i giovani
dovrebbero leggere". Cfr. ora G. Salvemini, Scritti sulla scuola, a cura di
L. Borghi e B. Finocchiaro, Feltrinelli, Milano 1966, pp. 1029-33. Un cenno a
questo scritto è anche nella lettera di Gramsci del marzo 1918 a Giuseppe
Lombardo-Radice sul "Club di vita morale" (testo della lettera in
" Rinascita", anno XXI, n. IO, 7 marzo 1964).
(4) Una
riga e mezza incomprensibile.
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MARGINI
1.
Lo sforzo
fatto per conquistare una verità, fa apparire un po' come propria la verità
stessa, anche se alla sua nuova enunciazione non si è aggiunto nulla di
veramente proprio, non s'è data neppure una lieve colorazione personale. Ecco
perché spesso si plagiano gli altri inconsciamente, e si rimane disillusi per
la freddezza con cui vengono accolte affermazioni che riputavamo capaci di
scuotere, di entusiasmare. Amico mio, ci ripetiamo sconsolatamente, il tuo era
l'uovo di Colombo. Ebbene, non mi importa di essere lo scopritore dell'uovo di
Colombo. Preferisco ripetere una verità già conosciuta al cincischiarmi
l'intelligenza per fabbricare paradossi brillanti, spiritosi giochi di parole,
acrobatismi verbali, che fanno sorridere, ma non fanno pensare.
La
giardiniera plebea è sempre la minestra più nutriente e più appetitosa
appunto perché preparata con le civaie più usuali. Mi piace vederla ingoiare a
larghe cucchiaiate dagli uomini gagliardi e ricchi di succhi gastrici che
contengono nella forza della loro volontà e dei loro muscoli l'avvenire. La più
trita verità non è mai stata ripetuta quanto basti perché essa diventi
massima e stimolo all'azione in tutti gli uomini.
2.
Quando
discuti con un avversario, prova a metterti nei suoi panni. Lo comprenderai
meglio e forse finirai con l'accorgerti che ha un po', o molto, di ragione. Ho
seguito per qualche tempo questo consiglio dei saggi. Ma i panni dei miei
avversari erano così sudici che ho concluso: è meglio essere ingiusto qualche
volta che provare di nuovo questo schifo che fa svenire.
3.
Le
diserzioni dal socialismo di molti cosiddetti intellettuali (a proposito:
intellettuale vuol sempre dire intelligente?) sono diventate per gli sciocchi la
miglior prova della povertà morale della nostra idea. Il fatto è che fenomeni
simili sono avvenuti e avvengono per il positivismo, per il nazionalismo, per il
futurismo, e per tutti gli altri ismi. Ci sono i crisaioli, le animucce sempre
in cerca di un punto fermo, che si buttano sulla prima idea che si presenti con
l'apparenza di poter diventare un ideale e se ne nutrono fino a quando dura lo
sforzo per impossessarcene. Quando si è arrivati alla fine dello sforzo e ci si
accorge (ma questo è effetto della poca profondità spirituale, del poco
ingegno, in fondo) che essa non basta a tutto, che ci sono problemi la cui
soluzione (se pur esiste) è fuori di quella ideologia (ma forse è ad essa
coordinata in un piano superiore), ci si butta su qualche altra cosa che sia una
verità, che rappresenti ancora un incognito e quindi presenti probabilità di
soddisfazioni nuove. Gli uomini cercano sempre fuori di sé la ragione dei
propri fallimenti spirituali; non vogliono convincersi che la causa ne è sempre
e solo la loro animuccia, la loro mancanza di carattere e di intelligenza. Ci
sono i dilettanti della fede, così come i dilettanti del sapere.
Ciò nella
migliore delle ipotesi. Per molti la crisi di coscienza non è che una cambiale
scaduta o il desiderio di aprire un conto corrente.
4.Si dice
che in Italia ci sia il peggior socialismo d'Europa(1). E sia pure: l'Italia
avrebbe il socialismo che si merita.
5.
Il
progresso non consiste per lo più che nella partecipazione di un sempre maggior
numero di individui a un bene. L'egoismo è il collettivismo degli appetiti e
dei bisogni di un singolo: il collettivismo è l'egoismo di tutti i proletari
del mondo. I proletari non sono certo altruisti nel significato che a questa
parola danno gli umanitari frolli. Ma l'egoismo del proletariato è nobilitato
dalla coscienza che il proletariato ha di non poterlo totalmente appagare senza
che lo abbiano appagato nello stesso tempo tutti gli altri individui della sua
classe. E perciò l'egoismo proletario crea immediatamente la solidarietà di
classe.
6.
E' stato
detto: il socialismo è morto nel momento stesso in cui è stato dimostrato che
la società futura che i socialisti dicevano di star creando era solo un mito
buono per le folle(2).Anch'io credo che il mito si sia dissolto nel nulla. Ma la
sua dissoluzione era necessaria. Il mito si era venuto formando quando era ancor
viva la superstizione scientifica, quando si aveva una fede cieca in tutto ciò
che era accompagnato dall'attributo scientifico. Il raggiungimento di questa
società modello era un postulato del positivismo filosofico, della filosofia
scientifica. Ma questa concezione non era scientifica, era solo meccanica,
aridamente meccanica. Ne è rimasto il ricordo scolorito nel riformismo teorico
[(però anche la " Critica sociale " non si chiama più: Rivista del
socialismo scientifico(3) ] di Claudio Treves, un balocco di fatalismo
positivista le cui determinanti sono energie sociali astratte dall'uomo e dalla
volontà, incomprensibili e assurde: una forma di misticismo arido e senza
scatti di passione dolorante. Era questa una visione libresca, cartacea, della
vita; si vede l'unità, l'effetto, non si vede il molteplice, l'uomo di cui
l'unità è la sintesi. La vita è per costoro come una valanga che si osserva
da lontano, nella sua irresistibile caduta. Posso io fermarla?, si domanda l'homunculus:
no, dunque essa non segue una volontà. Perché la valanga umana obbedisce ad
una logica che caso per caso può non essere la mia individuale, ed io individuo
non ho la forza di fermarla o di farla deviare, mi convinco che essa non ha una
logica interiore, ma ubbidisce a delle leggi naturali infrangibili.
E'
avvenuta la débâcle della scienza, o per meglio dire, la scienza si è
limitata ad assolvere il solo compito che le era concesso; si è perduta la
cieca fiducia nelle sue deduzioni ed è quindi tramontato il mito che essa aveva
contribuito potentemente a suscitare. Ma il proletariato si è rinnovato;
nessuna delusione vale ad essiccare la sua convinzione, come nessuna brinata
distrugge il virgulto ricolmo di succhi vitali. Ha riflettuto sulle proprie
forze, e su quanta forza è necessaria per il raggiungimento dei suoi fini. Si
è maggiormente nobilitato nella coscienza delle sempre maggiori difficoltà che
ora vede, e nel proposito dei sempre maggiori sacrifizi che sente di dover fare.
E' avvenuto un processo di interiorizzamento: si è trasportato dall'esterno
all'interno il fattore della storia: a un periodo di espansione ne succede
sempre uno di intensificazione. Alla legge naturale, al fatale andare delle cose
degli pseudo-scienziati è stata sostituita: la volontà tenace dell'uomo.
Il
socialismo non è morto, perché non sono morti per esso gli uomini di buona
volontà.
7.
Si è
irriso, e si irride ancora al valore numero, che sarebbe solo un valore
democratico, non rivoluzionario: la scheda, non la barricata. Ma il numero, la
massa, ha servito a creare un nuovo mito: il mito dell'universalità, il mito
della marea che sale irresistibile e fragorosa e raderà al suolo la città
borghese sorretta sui puntelli del privilegio. Il numero, la massa (tanti in
Germania, in Francia, in America, in Italia... che ogni anno crescono,
crescono... ) ha saldato la convinzione che ogni singolo ha di partecipare a
qualcosa di grandioso che sta maturando e di cui ogni nazione, ogni partito,
ogni sezione, ogni gruppo, ogni individuo è una molecola che riceve e
restituisce rinvigorito il succo vitale che circolando arricchisce tutto il
complesso del corpo socialista mondiale. I milioni d'infusori che nuotano
nell'oceano Pacifico costruiscono sterminati banchi coralliferi sotto il livello
dell'acqua: un terremoto fa affiorare i banchi e un nuovo continente si forma. I
milioni di socialisti dispersi nella vastità del mondo lavorano anch'essi alla
costruzione di un continente nuovo: e il terremoto […] (4).
8.
E' più
facile convincere chi non ha mai partecipato alla vita politica di chi ha già
appartenuto a un partito già sagomato e ricco di tradizioni. E' immensa la
forza che la tradizione esercita sugli animi. Un clericale, un liberale che
diventano socialisti, sono altrettante macchine a sorpresa che possono da un
momento all'altro esplodere con effetti letali per la nostra compagine. Le anime
vergini degli uomini di campagna, quando si convincono di una verità, si
sacrificano per essa, fanno tutto il possibile per attuarla. Chi si è
convertito, è sempre un relativista. Ha esperimentato in se stesso una volta
quanto sia facile sbagliarsi nello scegliere la propria via. Pertanto gliene
rimane un fondo di scetticismo. Chi è scettico non ha il coraggio necessario
per l'azione.
Preferisco
che al movimento si accosti un contadino più che un professore d'università.
Solo che il contadino dovrebbe cercare di farsi tanta esperienza e tanta
larghezza di mente quanta ne può avere un professore d'università, per non
rendere sterile la sua azione e il possibile suo sacrifizio.
9.
Accelerare
l'avvenire. Questo è il bisogno più sentito nella massa socialista. Ma cos'è
l'avvenire? Esiste esso come qualcosa di veramente concreto? L'avvenire non è
che un prospettare nel futuro la volontà dell'oggi come già avente modificato
l'ambiente sociale. Pertanto accelerare l'avvenire significa due cose. Essere
riusciti a far estendere questa volontà a un numero tale di uomini quanto si
presume sia necessaria per far diventare fruttuosa la volontà stessa. E questo
sarebbe un progresso quantitativo. Oppure: essere riusciti a far diventare
questa volontà talmente intensa nella minoranza attuale, che sia possibile
l'equazione: 1 = 1 000 000 . E questo sarebbe un progresso qualitativo.
Arroventare la propria anima e farne sprizzare miriadi di scintille. Ciò è
necessario [...](5).
Aspettare
di essere diventati la metà più uno è il programma delle anime pavide che
aspettano il socialismo da un decreto regio controfirmato da due ministri.
"La
Città futura", PP. 3-4. Raccolto in SG, 82-87
Note
(1)
Probabile richiamo a un giudizio di Giustino Fortunato: "Già, o che il
movimento socialista italiano non è forse il meno socialista fra tutti gli
altri d'Europa, da quell'effettivo piccolo borghese e industriale che esso è,
misto di politica e di opportunismo, di protezione e di cooperativismo ... ?
" Cfr. G. Fortunato, Pagine e ricordi parlamentari, Vallecchi, Firenze
1927, vol. II, P. 36.
(2)
Gramsci si riferiva allo scritto in forma di dialogo di Benedetto Croce, La
morte del socialismo, pubblicato con lo pseudonimo di Falea di Calcedonia in
"La Voce", anno III, n. 6, 9 febbraio 1911; ora in B. Croce, Cultura e
vita morale. Intermezzi polemici, Laterza, Bari I955, PP. 150-59.
(3) Il
sottotitolo "Rivista quindicinale del socialismo scientifico" era
apparso dal 1° gennaio I893, anno III, n. I; in seguito (dal 1° luglio 1899,
anno VIII, n. 10) il sottotitolo si mutò in "Rivista quindicinale (del
socialismo". Sul concetto di "scientifico", "che cosa è
scientifico?", cfr. Q, II, 826-27.
(4) Circa
due righe censurate.
(5) Alcune
parole censurate.
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MODELLO E
REALTÀ
Modello è
lo schema tipico di un determinato fenomeno, di una determinata legge. Il
succedersi in modo uniforme dei fatti permette di fissarne le leggi, di
tracciarne gli schemi, di costruirne i modelli. Purché non si diano a queste
astrazioni dell'intelletto valori assoluti, esse hanno una ragguardevole utilità
pedagogica: servono mirabilmente per riuscire a collocarsi nel centro stesso
dell'atto fenomenico che si svolge e va elaborando tutte le sue possibilità,
tutte le sue tendenze finalistiche. E quando si è riusciti a compiere questo
atto iniziale, il più è fatto: l'intelligenza riesce ormai a sorprendere il
divenire del fatto, lo comprende nella sua totalità e quindi nella sua
individualità. Il modello, la legge, lo schema sono in sostanza espedienti
metodologici che aiutano a impadronirsi della realtà; sono espedienti critici
per iniziarsi alla conoscenza e al saper esatto.
Costruiamo
uno di questi modelli. Immaginiamo la società in ischema. 100 famiglie, scisse
nelle due classi storiche che attualmente si contendono l'iniziativa nella
politica, nella produzione, nella distribuzione. Bambini, vecchi, donne:
lavoratori e borghesi. 75 famiglie vivono del salario; 10 famiglie dello
stipendio (burocrazia in senso lato); 15 famiglie di reddito capitalistico. La
ricchezza totale è di tre milioni, e cioè di 6000 lire per abitante
(calcolando ogni famiglia composta di 5 persone, padre, madre, due figli e un
vecchio o ammalato, assolutamente improduttivo). il reddito di questa ricchezza
è frutto del lavoro dei proletari. Esso ha un valore monetario di 2250 lire al
giorno, che sono spartite in questo modo: 850 lire alle 85 famiglie dei
salariati e stipendiati, e 1500 lire alle 15 famiglie dei capitalisti. In tempi
normali le due parti oscillano continuamente: cresce la produzione, la moneta
vale di più, serve ad acquistare più merce, aumenta il benessere relativo,
crescono i bisogni, cresce la coscienza di essi, e quindi la domanda di
miglioramenti. Per rendere questi possibili, la borghesia capitalista aguzza
l'ingegno, migliora la tecnica, la produzione si moltiplica: la tesi e
l'antitesi sviluppano il gioco delle loro forze che si sintetizzano in
progressive accelerazioni nel ritmo del lavoro: queste accelerazioni sono le
tappe storiche della società borghese che supera continuamente se stessa,
ampliando il proprio respiro, attutendo per quanto è possibile i contrasti,
cercando di soddisfare nell'ambito della propria conservazione tutte le domande,
tutti i desideri, le volontà di sempre maggiore benessere, di sempre maggiore
indipendenza e autonomia dei singoli. Ma i rapporti giuridici di classe
rimangono inalterati, perché è regola matematica che mutando in proporzione
eguale i membri di una equazione l'equazione non cambia. Il proletario sta a 1,
come il capitalista sta a 100; se il proletario diventa 2, 3, 4, ecc., e i
rapporti sono sempre 1 a 100, il proletario rimane proletario, il capitalista
capitalista. [... ].( Alcune righe censurate)
Il modello
è uno schema, è vero; ha i suoi difetti e le sue angustie, è vero. Ma è poi
così lontano dalla realtà? Nella vita normale lo scorbuto è una eccezione; ma
sono eccezioni l'analfabetismo, la vita nei sottani umidi e infetti dell'Italia
meridionale; sono eccezioni i casi di tubercolosi fra le tessitrici, la mancanza
di ogni possibilità di vita spirituale, la necessità di far lavorare i
bambini, e tutti gli altri malanni che ognuno può accertare da sé intorno a sé?
Ebbene, per ognuno di questi malanni, è il modello che agisce, che detta le sue
leggi, che stronca una parte dell'umanità, e col suo sangue purpureo avviva le
vene degli acciaccati dell'altra riva, dà la possibilità del vizio, della
malattia per crapula, a quelli dell'altra riva. Ecco perché proletaria
[….](alcune parole censurate) è anche un dovere di morale comune.
"La
Città futura", p. 4 e "Avanti! ", anno XXI, n. 50, 19 febbraio
1917, cronache torinesi, sotto il titolo Le delizie dell'economia liberale. La
legge del libero acquisto. Nell'" Avanti!" risulta cancellato dalla
censura anche l'intero ultimo paragrafo. Raccolto in Scritti 1915-I92I, 45-46.
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IL
MOVIMENTO GIOVANILE SOCIALISTA
Il
movimento giovanile in Italia si è sempre caratterizzato per un'ardenza ed una
combattività inestinguibile e massimalistica; sia che esso investisse il
problema delle tendenze prendendo aperta e chiara posizione per le tesi più
intransigenti, più pure ed estreme, come del resto l'età comporta e vuole
(guai ai giovani vecchi!), sia occupandosi dei più delicati problemi della vita
italiana, come quello della democrazia cristiana, fieramente osteggiata fin dal
suo nascere, o con l'agitare ed, in qualche modo, l'imporre, quello della
massoneria, cancro roditore della compagine e della autonomia del vecchio
socialismo popolaresco e collaborazionistico.
Così pure
fu all'avanguardia deciso e sicuro per la campagna antilibica e per la neutralità
antibellica nell'attuale tragico conflitto europeo. A lievi tentennamenti dei
dirigenti, sorpresi in sulle prime dalla complessità del fenomeno storico
attuale, il movimento reagì come un sol uomo, ed è stato l'unico movimento in
Europa che non ha dato nemmeno una minoranza alla guerra fascinatrice!
Così
Arturo Vella caratterizza nell'"Almanacco Socialista" (1) il movimento
giovanile. E ben altro si potrebbe dire se la censura non fosse lì pronta a
stroncare tutto ciò che va contro corrente.
In Italia
il movimento giovanile incominciò a sorgere intorno al 1898. Ed è una grande
data questa nella storia d'Italia. E' una forza nuova che s'inserisce nel gioco
delle lotte politiche. Una forza disinteressata, piena di intima energia morale,
che ha avuto una grande efficacia nella trasformazione dello spirito pubblico
italiano, nel farlo diventare più serio, più pensoso, più raccolto. Ciò
specialmente nell'Italia meridionale.
In
Piemonte, in Lombardia, nell'Emilia, in Toscana il movimento giovanile è
specialmente diffuso e robusto. Ma in queste regioni il fenomeno non è così
significativo come nell'Italia meridionale. La vita politica vi è già
complessa; l'attività politica ha già permeato strati profondi della
popolazione. Nell'Italia meridionale invece, dove non esiste costume politico,
dove tutti i presidenti di Consiglio coltivano i feudi elettorali, che
serviranno a riempire la ventraia parlamentare, e a costituire la maggioranza,
il movimento giovanile significa il primo sorgere di una nuova generazione
libera, spregiudicata, che romperà la tradizione, che bonificherà
l'impaludamento politico.
Ecco un
prospetto sintetico degli iscritti alla Federazione Giovanile Italiana:
Anno Soci
Tesserati
1907 40
1149
1908 142
2955
1909 141
3362
1910 186
4403
1911 227
5361
1912 273
5810
1913 280
6040
1914 283
6145
Per gli
ultimi due anni non si possono ancora dare cifre ufficiali. Possiamo però dire
che a malgrado la guerra abbia strappato all'organizzazione la metà almeno
degli inscritti, tuttavia gli inscritti stessi sono aumentati. Il loro numero
supera certamente i 10.000. Uno sforzo mirabile è stato compiuto. Il fatto
della guerra ha scosso gli indecisi, ha posto violentemente la loro coscienza di
fronte alla realtà; e li ha costretti a decidersi, a fare ciò che in fondo non
era che il loro dovere elementare.
Il solo
Piemonte conta circa 2000 inscritti. A Torino ci sono 9 sezioni con oltre 500
inscritti, e le sezioni funzionano regolarmente, e questi giovani portano il
peso della loro convinzione nella vita socialista e politica della città.
Eccone
l'elenco:
Fascio
Centro, Corso Siccardi 12
Borgo San
Paolo e Cenisia, Via Virle 9 bis
"Andrea
Costa", Via Massena 103
"Augusto
Bebel", Via Pomaro 4
"
Carlo Marx ", Via Nizza 222
"
Amedeo Catanesi", Via Feletto 5
Borgo
Vittoria, Casa del popolo
"Avanguardia",
Via Lessolo 31
Pozzo
Strada, Via Freidour
Alcuni
altri sono in costituzione. E il cammino ascensionale non si fermerà ancora.
L'azione educativa che il movimento giovanile compie, è piena di suggestioni.
Una quantità sempre più grande di giovani sentono il bisogno di formarsi, di
costruirsi una coscienza che sappia accogliere e risolvere acconciamente tutti i
problemi che la vita propone. Si sente odore di novità nell'aria. Il mondo è
ad una svolta decisiva. Tutti sentono che è necessario essere ben saldi in
piedi per resistere al crollo ed essere preparati a sostituire al vecchio
edifizio quello nuovo, illuminato dal sole, aerato dall'ideale che non muore.
"La
Città futura", P. 4. Raccolto in SG, 87-89.
Nota
(1) Cfr.
Arturo Vella, Il movimento giovanile socialista in Italia, in Almanacco
socialista italiano 1917, Edizioni Avanti!, Milano 19I7, P. 144. Arturo Vella
(1886-1943), leader della gioventù socialista e direttore fino al 1912 de
" l'avanguardia "; vice segretario del Psi.
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["LA
CITTA FUTURA"]
Abbiamo
messo a questo foglio un titolo che non è solamente nostro.
Prima che
la guerra si sferrasse nel mondo con il suo flagello irresistibile, con alcuni
amici si era deciso di lanciare una nuova rivista di vita socialista (1) che
fosse come il focolare delle nuove energie morali, del nuovo spirito [... ] (2)
ed idealista della nostra gioventù. Avrebbe dovuto essere slancio e
riflessione, incitamento all'azione e al pensiero. Nella grande fede del nostro
animo ricolmo di giovinezza e di ardore, pensavamo di ricominciare una
tradizione tutta italiana, la tradizione mazziniana rivissuta dai socialisti. Ma
l'intento non è stato dimesso. Le parti del nostro animo che la guerra ci ha
strappato, ritorneranno al focolare. E la rivista sarà. Questo numero unico non
è certamente un saggio. Esso è un invito ed un incitamento. Chi è persuaso
che per il pensiero e la coltura socialista molto sia ancora da fare, e che una
nuova voce di giovani possa ancora molte cose dire, mandi la sua adesione, i
suoi suggerimenti, i suoi voti a questo indirizzo: " La Città
futura", corso Siccardi 12, Torino. Vogliamo convincerci che l'opera nostra
risponda a una necessità, e possa trovare un pubblico che la sostenga e la
migliori con la collaborazione del suo fervore.
" La
Città futura", P. 4. Raccolto in Scritti I915 I921, 47. A P . 4 si legge
anche il seguente breve corsivo:
"Può
un giornale esser fatto in modo che accontenti tutti i suoi lettori? Proporsi un
tal fine sarebbe vano.
Ciò che
per uno è residuo, per un altro sarà sostanza e viceversa. Importa solo
che il
residuo non sia mai tale da esserlo per tutti e che pur non soddisfacendo
obblighi a pensare,
e diventi
pertanto attivo allo stesso modo dell'altra parte ".
Note
(1) Un
cenno a questo progetto di rivista è nella lettera di Gramsci a "
l'Avanguardia", 1° aprile I9I7 (cfr. più avanti, pp. 105-6), e
nell'articolo Un agente provocatore, in "Falce e martello", anno II,
n. 14, 4 giugno 1921(scritti 1915-1921, 260-7I): " Il compagno Togliatti ha
fatto il corso universitario insieme ai compagni Gramsci e Tasca. Tutti e tre
erano socialisti fin d'allora, e facevano vita comune: avevano fin d'allora
deciso di compilare insieme una rassegna di cultura socialista, che avrebbe
dovuto chiamarsi "La Città futura", e fu invece "L'Ordine
Nuovo".
(2) Una
parola censurata.
da:
Antonio Gramsci - "LA CITTA' FUTURA" scritti 1917-1918, a cura di
Sergio Caprioglio, Einaudi, (NUE 177)